Sapori e odori natalizi a Grottaglie: “cartiddati e sannacchiutiri.

Di Elio Francescone

Sogni più belli sono quelli il cui sapore ti accompagna per tutta la vita: è quello della stessa esistenza e che ti riempie non solo il palato ma anche l’animo.

E la felicità ha il sapore della memoria: essa è come il sale del passato che insaporisce il futuro. Odori e sapori restano chiusi nel cuore e poi, all’improvviso, vengono fuori, suscitando una mielosa malinconia. Vediamo di conoscere meglio le nostre tradizioni natalizie:

“Li sannacchiútiri” erano chiamati dai più anziani a Grottaglie “li tiènti ti San Cciséppu”. Sono dei pezzettini di pasta fritta, croccanti,a forma di dente o di gnocco, cosparsi di miele caldo. L’origine di questi dolcetti si perde nella notte dei tempi e, forse, è legata alla leggenda di una famiglia povera che aveva tanti bambini desiderosi di avere un dolcetto a Natale.

La mamma possedeva solo un po’ di farina, vino, olio e miele e così preparò,in fretta e furia, della pasta per accontentare i figli. Li fece a forma di gnocchetto, arricciato sulla grattugia, e a somiglianza di denti incisivi umani. Dopo averli fatti lievitare cominciò a friggerli, ma i bambini non vedevano l’ora di mangiarli subito. La donna per calmare i figli, che intanto gridavano e piangevano, si inventò una storiella, dicendo che i dolcetti erano purtroppo ancora aperti e si dovevano chiudere… “sa nna cchiutiri”… per poterli mangiarli a Natale.

La storia sarà vera? Non mi importa… mi interessa solo la tradizione, sperando che essa non si perderà assieme all’ “aria” natalizia vera che è andata in fumo davanti al più becero consumismo!

“Cartiddati”. Si tratta di un dolce arcaico che, secondo alcuni, rievocherebbe le spirali dolci fritte amate dai faraoni egiziani. Ramses III ne sarebbe stato così goloso da farle dipingere addirittura sulle pareti della propria tomba.Gli ingredienti corretti sono semplicemente olio, vino bianco e farina. Lavorare l’impasto è semplicissimo e le “cartiddati” leggere e friabili.

Riguardo all’origine del nome, ci sono varie teorie: Secondo qualcuno la parola è “un’onomatopea oculare” ovvero deriva da “incartellare” cioé incartocciare, dal momento che esse ricordano tipiche forme della civiltà araba. Secondo altri, é una derivazione greca, “κάρταλλος” (Kaptallos) (cesta) che riproduce la forma di una cesta, tipica nell’iconografia greca, sia antica che bizantina (lo stile corinzio nell’architettura). Secondo qualcun altro, rappresentano le fasce che cingevano il Divino Bambino oppure la corona di spine al momento della crocifissione di Gesù.

Storicamente di esse di esse abbiamo una raffigurazione in un graffito rupestre del VI secolo a.C. in terra barese che rappresenta la preparazione di un dolce simile, sempre di origine greca, e che fa parte delle offerte fatte a Demetra,la madre terra (Misteri Eleusini docent.). Con l’avvento del cristianesimo, divennero doni alla Madonna per favorire il raccolto.

Ricordate sempre che questi dolci e tradizioni sono nati in una società povera, contadina e di sussistenza e gli ingredienti erano tutti “poveri” e semplici.