ORI DI TARANTO: DALL’OMAGGIO DI CRISTIAN DIOR AL TENTATIVO DELLA REPUBBLICA DI SALÒ  DI IMPOSSESSARSENE

GLI ORI  SONO NEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE  MARTA DI TARANTO, LA MILLENARIA STORIA E LA LORO BELLEZZA HANNO CORSO IL RISCHIO DI LASCIARE L’ITALIA PER LA GERMANIA DURANTE IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE .

di Vito Nicola Cavallo

Una parte del corredo aurifero , riprodotto in foto, parte dei preziosi reperti custoditi a Taranto, quale la teca in forma di conchiglia con Nereide, dell’ultimo quarto del  III secolo a.C., argento, doratura a caldo, dalla “tomba degli Ori” di Canosa di Puglia, Anello, e  orecchino, IV secolo a.C., oro, smalto rosa, rosso e azzurro, orecchino, seconda metà IV secolo a.C., oro, dalla “tomba 23, Via Umbria” Diadema, fine III secolo a.C., oro, granati e corniole, smalti di vari colori, dalla “tomba degli Ori” di Canosa di Puglia, hanno viaggiato per lo stivale dal 1943 al 1945, anche “in una carretta di verdure” Gli ori di Taranto del MArTA, protagonisti alla sfilata Dior a Lecce. La Maison nelle sue creazioni si è ispirata a loro – e in particolare all’orecchino a navicella – per rendere omaggio alla nostra terra, alla sua storia e alla sua bellezza senza tempo.

L’inizio della storia degli ori di Taranto e del tentativo di impossessarsi dai componenti della Repubblica di Salò, viene a nostra conoscenza, grazie alla monografia dell’istituto bancario Intesa San Paolo in “«SALVI E INTATTISSIMI.» LA BANCA COMMERCIALE ITALIANA E LA PROTEZIONE DEGLI ORI DI TARANTO (1943-1945)”.

Barbara Costa  nell’introduzione alla monografia introduce l’approfondimento del caso “la vicenda della protezione e del salvataggio del patrimonio artistico italiano durante la Seconda guerra mondiale è una storia dai molti protagonisti: alti funzionari dello Stato in primis – soprintendenti, bibliotecari, archivisti – ma anche lavoratori e cittadini ‘comuni’ che, attraverso semplici gesti di tutela, contribuirono a salvaguardare la memoria e quindi l’identità del Paese; e poi funzionari e prelati del Vaticano, i militari delle forze alleate e quei “Monuments Men” portati all’attenzione del grande pubblico da un recente film. Fra gli uomini che esercitarono senza troppo clamore un ruolo non secondario di salvatori dei beni culturali ci sono anche alcuni banchieri, che, fin dal giugno 1940, misero a disposizione dei soprintendenti il rifugio sicuro per antonomasia, i caveau delle loro banche, per custodire opere d’arte, manoscritti, libri. . Questa monografia è curata dallo storico e documentarista Francesco Morra, hanno portato alla luce un episodio per molti versi emblematico, considerata anche la preziosità della collezione di gioielli della Taranto ellenistica prodotti fra il IV e il II secolo a.C. nota come “Ori di Taranto” la quale comprende, tra gli oltre 200 preziosi, anche il celebre diadema di Opaka ritrovato nella “Tomba degli Ori” di Canosa di Puglia nel 1928.”

La storia. Martedì, 2 febbraio 1943: Valerio Cianfarani, giovane ispettore della Soprintendenza archeologica di Taranto, ha appena varcato la soglia d’ingresso della filiale di Parma della Banca Commerciale Italiana. Reca con sé due semplici cassette di legno; le poggia su un bancone, saluta i funzionari della banca, poi porge loro i due contenitori dando così il via ad un rigido protocollo di consegna: dodici bolli di ceralacca – recanti le scritte “Museo Nazionale e scavi in Taranto” e “Banca Commerciale Italiana Succ.le di Parma” – sigillano sei strisce di tela bianca apposte sulle due cassette. All’interno, uno dei più preziosi, inestimabili tesori archeologici italiani e mondiali: gli Ori di Taranto. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale aveva costretto i soprintendenti di tutta Italia a predisporre misure di salvaguardia per la protezione dei monumenti e dei tesori d’arte. Per gli Ori di Taranto,  si era deciso che fossero custoditi in una cassetta di ferro, murata in ambienti sotterranei dello stesso Museo di Taranto. Alla già ricca collezione originaria degli Ori si aggiungevano, a partire dal 27 aprile 1941, i preziosi della principessa Opaka, provenienti dalla “Tomba degli Ori” di Canosa di Puglia  e il preziosissimo diadema floreale d’oro, il pezzo più pregiato dell’intera collezione. Taranto, non era un nascondiglio sicuro, all’epoca ospitava un’importante base navale italiana, già attaccata dagli aerosiluranti inglesi la notte dell’11 novembre 1940, quindi il Ministero dell’Educazione Nazionale predispose  nuove misure di salvaguardia per i beni artistici del Mezzogiorno. Il ministro Giuseppe Bottai, riteneva che la sede più opportuna per la salvaguardia del tesoro fossero i sotterranei blindati della Banca Commerciale di Parma, costruiti appositamente perché potessero resistere anche a bombardamenti aerei. Gennaio 1943 si  redige l’inventario degli Ori da deporre in due cassette di legno delle dimensioni di 66 x 31 x 35 cm e 76 x 35 x 30 cm: ben 222 gli oggetti preziosi inseriti all’interno il cui valore complessivo dichiarato fu di 5 milioni di lire dell’epoca, il  31 gennaio 1943 alle ore 14.30 il prestigiose cassette partono per  di Parma con le Ferrovie Italiane, dal 2 febbraio 1943 gli Ori di Taranto erano dunque custoditi in via Langhirano, all’interno dei sotterranei blindati del Centro Contabile della Comit di Parma. Dopo l’8 settembre 1943, data della proclamazione dell’armistizio con gli Angloamericani, l’Italia rimase spaccata in due: a sud, sotto la “tutela” angloamericana degli Alleati, il Re e Badoglio garantirono la continuità istituzionale dello Stato italiano mantenendo la sovranità su un territorio inizialmente ristretto a quattro province pugliesi: Bari, Lecce, Taranto e Brindisi diventata quest’ultima, nel frattempo, “capitale provvisoria” del cosiddetto Regno del Sud; a nord, sotto la guida di Mussolini – fatto evadere dalla prigionia del Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi il 12 settembre 1943 – nasceva la Repubblica Sociale Italiana, destinata a rimanere nell’orbita del Terzo Reich. Poco tempo dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), a Taranto, non avendo più notizie sulla sorte degli Ori, si rivolgeva,  una missiva del 25 luglio 1944, al Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale delle Arti) dell’Italia Liberata chiedendo notizie e suggerendo eventualmente di interessare anche il Vaticano, “La situazione bellica del momento non permette di nutrire eccessive speranze circa la sicurezza del materiale artistico in parola, di cui, inoltre, non si riesce ad avere notizia da moltissimi mesi. Si rivolge, pertanto, viva preghiera a codesto Ministero di voler, cortesemente, esaminare la possibilità – ove occorra, per il tramite del nostro incaricato d’affari presso il Vaticano – di interessare la Santa Sede affinché questa, nei modi che riterrà più opportuni ed efficaci, tenti il salvataggio di questo materiale, cui va attribuito un inestimabile valore storico ed artistico”. Il ministero degli Esteri, del 17 ottobre 1944, veniva confermato di aver svolto gli opportuni passi – per il tramite della Regia Ambasciata presso la Santa Sede per  il salvataggio degli Ori o almeno il reperimento di notizie sulla sorte del prezioso materiale. Il 24 novembre 1944 il Cardinale di Milano Ildefonso Schuster, attraverso la Santa Sede, poteva così confermare al Ministero degli Esteri dell’Italia Liberata.

“Il Direttore del Banco Commerciale [sic] mi dichiara che effettivamente due cassette furono depositate negli Uffici di Parma nello scorso marzo. Il deposito tuttavia avvenne a nome della R. Sottointendenza di Taranto per mezzo del suo ispettore Valerio Cianfarani “.Alcuni giorni dopo la comunicazione del Cardinale Schuster, il Ministero dell’Educazione Nazionale della RSI (con sede in Padova) richiedeva alla Banca Commerciale di Parma la consegna delle cassette contenenti gli Ori. Il 22 dicembre 1944 l’Ispettore Centrale del Ministero dell’Educazione della RSI, Renato Bartoccini (già direttore del Museo di Taranto dal 1933 al 1934), munito di una lettera di presentazione del ministro Carlo Alberto Biggini, si recava a Parma,  così spiegava la scelta del ritiro: “Dato che, a prescindere dal loro valore intrinseco, detti oggetti ne hanno uno anche maggiore artistico e archeologico, il Ministero, preoccupato della loro sorte, nella eventualità di eventi bellici che potrebbero interessare la città e la regione di Parma, è venuto nella determinazione di ritirarli in sede più a Nord, così come è stato fatto e si sta facendo per tutte le altre opere d’arte mobili.” Il direttore della filiale, dubbioso sulla regolarità della richiesta,

sceglieva di guadagnare tempo: pur non rifiutando apertamente la consegna, riferiva però al Bartoccini di non potergli consegnare le cassette poiché il deposito, a suo tempo, era stato effettuato a nome del Cianfarani Il 3 gennaio 1945 la Direzione Centrale della banca informava il Ministero –  che il deposito delle due cassette, a suo tempo, con la seguente formulazione: “R. Soprintendenza alle Antichità di Taranto – nella persona del suo Ispettore Dott. Valerio Cianfarani – Taranto.” Pertanto, proseguiva la missiva: “Tale intestazione […] precisa e limita alla persona ivi espressamente designata, nella qualità non solo, ma nella personale identificazione, l’avente diritto al deposito……impossibilità in cui ci troviamo di corrispondere alla fattaci richiesta, senza il consenso dell’intestatario del deposito o un ordine di giustizia”. Quindi gli Ori potevano essere riconsegnati solo ed esclusivamente alla persona di Valerio Cianfarani, a meno che non fosse stato emanato un ordine di giustizia. Il 5 gennaio 1945  la Repubblica di Salò  sosteneva che Cianfarani aveva agito semplicemente in qualità di organo dell’amministrazione statale e che Bartoccini era munito di ampio mandato da parte del Ministero per procedere al ritiro delle cassette, la Banca Commerciale il 16 gennaio 1945 confermava di rimanere   ferma sulle proprie

posizioni. Biggini ne richiedeva l’immediata consegna con un’intimazione dell’Ufficiale Giudiziario di Milano. L’atto di notifica dell’ordine veniva consegnato materialmente il 13 marzo 1945 dall’Ufficiale Giudiziario del Tribunale di Milano al legale rappresentante della Banca Commerciale Italiana.La guerra  sembrava ormai volgere alla fine , negli archivi del Ministero dell’Educazione Nazionale, aumentavano  gli atti, dei tentativi di impossessarsi delle cassette degli Ori di Taranto per trasferirli in altra sede al Nord non meglio identificata.Il 25 aprile 1945, Milano insorgeva ,il 3 maggio 1945 la filiale di Parma informava la Direzione Centrale che “in relazione alla stimata Vostra del 23 marzo u.s., ci pregiamo assicurarVi che il deposito di cui a margine è tuttora in nostro possesso, il primo giugno 1945 la stessa direzione,  informava  la filiale della Banca Commerciale di Taranto, la quale a sua volta informava la Soprintendenza di Taranto. Il pericolo corso dagli Ori di Taranto, tra il dicembre 1944 e l’aprile 1945 fu dunque altissimo; Corrado Franzi e Antonio Rossi,  impedirono la consegna degli Ori e che da quel momento seguirono costantemente la pratica, se gli Ori di Taranto sono giunti sani e salvi sino a noi. A guerra conclusa si apprendeva dei rischi  corsi dagli Ori di Taranto, infatti la comunicazione effettuata dal Ministero degli Esteri al

Ministero della Pubblica Istruzione del 9 maggio 1945: si faceva cenno alla sorte dei beni artistici trafugati in Italia dai tedeschi a partire dall’8 settembre 1943. L’oggetto del messaggio parlava di “Tesori d’arte di Taranto e Firenze”; il Cardinale Arcivescovo di Milano comunica di aver appreso che i tesori d’arte di Taranto e Firenze, …e  suggerisce (l’arcivescovo di Milano), dal canto suo, d’iniziare qualche passo presso gli Alleati per il recupero delle opere di arte in questione”. Ricordiamo che a partire dal novembre 1943 in Italia cominciò ad operare il Kunstschutz tedesco, il “servizio per la protezione dell’arte” agli ordini del colonnello delle SS Alexander Langsdorff, dal luglio all’agosto 1944, i Tedeschi emanarono ordini di evacuazione delle opere d’arte degli Uffizi e di Palazzo Pitti depositate a Montagnana e Montegufoni, 260 capolavori d’arte fiorentini (tra i quali, da ricordare, a puro titolo di esempio, Pallade e il Centauro del Botticelli, il Bacco di Michelangelo, il David e il San Giorgio di Donatello, le sculture romane del Gruppo dei Niobidi degli Uffizi), caricati su camion, presero però la via della Germania.Terminata la guerra, era possibile restituire le due cassette al Museo di Taranto, il 21 giugno 1945, Parma  confermanva la presenza delle due cassette, si incaricava Valerio Cianfarani il 25 giugno 1945: “Pregiatissimo Professore, la faccenda della restituzione degli Ori di Taranto è sistemata. Gli Ori sono salvi e intattissimi. La Banca Commerciale è pronta ad effettuare la restituzione. Soltanto il Consigliere Delegato della Banca, a scanso di qualsiasi equivoco, mi ha chiesto di essere informato del giorno e del nome della persona che sarà incaricata di ritirare in Parma le preziose cassette. Nonostante io gli abbia detto che con quasi assoluta certezza la persona incaricata sarà il Dr.

Cianfarani , 18 luglio 1945 il ministro della Pubblica Istruzione incaricava del ritiro Valerio Cianfarani, che partiva da Roma alla volta di Bologna in aereo; recava con sé la lettera del Ministero della Pubblica Istruzione che presen-tava al direttore della filiale di Parma. Le due cassette venivano così riconsegnate nelle mani della stessa persona che le aveva depositate due anni prima. Per spostarsi da Parma a Bologna, salì con le due cassette su una camionetta che trasportava soldati e partigiani che si dimostrarono incuriositi del singolare trasporto. Giunto a Bologna, aiutato dal Comando Alleato, Cianfarani poté prendere un aereo militare e atterrare a Ciampino. Ma fu qui che la situazione, all’apparenza comica, stava rischiando di diventare drammatica. Con quali mezzi? Le macchine erano requisite e i trasporti pubblici non giungevano fino a Ciampino. Si fece coraggio. Tenendo faticosamente sottobraccio le sue cassette, si affacciò alla strada che porta a Roma, in attesa della Provvidenza. Questa comparve sotto forma di una carretta di verdure il cui proprietario accettò, per un lieve compenso, di trasportare lo strano signore e il suo più strano bagaglio fino a Termini. Valerio Cianfarani ebbe a confidare allo scrivente che durante quel lungo viaggio da Ciampino a Termini, sudò più volte freddo. Il contadino voleva sapere a tutti i costi che cosa contenessero le cassette, e sospettando si trattasse di cosa mangereccia, che in quei giorni era merce quanto mai preziosa, dalle insistenze passò quasi alle minacce. Si era soli, in aperta campagna. Come Dio volle la carretta giunse davanti alla stazione Termini e lì avvenne il congedo con il contadino. Poco tempo dopo il tesoro era di nuovo al sicuro”. Le due cassette furono temporaneamente depositate al Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano e lì custodite fino al 1949. Nel 1946 gli Ori di Taranto furono messi in mostra a Palazzo Venezia a Roma. A fine aprile 1949 vennero riportati nella loro città d’origine inaugurando il nuovo complesso museale ristrutturato. Ancora oggi essi sono visitabili, nella Sala degli Ori, al Museo Nazionale Archeologico di Taranto: il MARTA.