BOTTEGA VESTITA DISEGNA E PLASMA CON L’ARGILLA LA GRAN MADRE DIO DI  GIO PONTI DI TARANTO.

PARTICOLARE DELLA GRAN MADRE DI DIO A TARANTO DI GIO PONTI NELL’ELABORAZIONE DI MIMMO VESTITA.

Di Vito Nicola Cavallo

Dedichiamo il Santo Natale 2023 alla Cattedrale della città di Taranto La Gran Madre di Dio di Giovanni (Gio) Ponti, con la pubblicazione (in esclusiva) della scultura in ceramica di Mimmo Vestita (della bottega Vestita) ispirata alla “vela” dell’architetto milanese.

Il design e le ceramiche di Ponti, su mia richiesta al prof Sgarbi, sono state ospitate nel 2008 nella mostra della ceramiche di quell’anno, manifestazione clou è la tradizionale “Mostra della Ceramica Mediterranea” che proposi di  dedicare all’architetto e designer Giò Ponti e ai “particolari d’arredo”.

Le opere arrivarono, su sollecitazione del prof. Sgarbi e mia,  dalla “Fondazione Anna Querci per il Design”. Furono coinvolte il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Regione Puglia; Provincia di Taranto; Associazione italiana Città della Ceramica; Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, Sesto Fiorentino. La Rassegna si svolse presso il Castello episcopio dal 27 luglio al 14 settembre 2008, le opere museali furono collocate nelle sale nobili del castello.

Di seguito l’approfondita presentazione dell’opera architettonica di particolare importanza architettonica ed urbanistica, pubblicata dal MIC Direzione generale-creatività contemporanea per il censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi.

“La Gran Madre di Dio a Taranto è l’esito di un lungo processo di semplificazione e di successiva astrazione delle forme perseguito fino a trasformare in levità immateriale la concretezza della materia costruita. Il progetto iniziale presenta, infatti, un edificio compatto dalla pianta a diamante, sfondo di un ideale asse prospettico tra la città vecchia e la nuova, che viene progressivamente ridotto ad una navata unica a pianta rettangolare, sulla quale si innalza un’area “vela” traforata.

 Alta fino a 53 metri, costituita da due pareti di cemento armato distanti un metro tra loro, la “facciata” è attraversata dall’aria e dalla luce grazie a 80 aperture gemelle dalle forme geometriche, tra le quali prevale la prediletta forma a diamante. La vela è, quindi, un segno facilmente riconoscibile per i fedeli ed emerge dalla navata come un “retablo” popolato da figure di angeli e ricorda il visionario progetto per la cattedrale di Los Angeles.


Oltre che nella facciata tutte le murature esterne che sovrastano la copertura sono traforate da setti verticali con aperture di sbieco che viste da un verso appariranno aperte sul cielo, e dall’altro appariranno solo come giochi di luce. Come le pareti interne sono bianche ad intonaco tarantino, così bianche saranno le esterne in intonaco. Negli spazi laterali fiancheggianti la chiesa il verde aggredirà l’architettura con alberi alti e rampicanti.

Il progetto della nuova cattedrale di Taranto nasce dall’esigenza di creare un centro religioso vicino al nuovo asse di espansione della città, che doveva comprendere anche una scuola, un auditorium e alcune abitazioni che non sono mai state realizzate. Ponti vuole che la chiesa sia moderna, monumentale, ma legata alla tradizione religiosa pugliese. Il richiamo alla modernità è affidato all’uso del cemento bianco faccia vista; la monumentalità, alle sue dimensioni e all’essere anticipata da una scalinata e da una vasca d’acqua nella quale l’immagine si riflette; il legame con la tradizione locale,

dall’uso del colore bianco. Per conferirle un carattere imponente Ponti articola la chiesa, in analogia con le antiche cattedrali italiane, in due parti: la navata contenuta in un corpo basso e il campanile svettante nel cielo. Il campanile è definito da due pareti in cemento armato, alte 41 metri e larghe 22, traforate da ottanta finestre esagonali e rettangolari, incastrate ai lati tra due torri campanarie.

Ponti reinterpreta l’essenzialità delle chiese romaniche pugliesi utilizzando un impianto semplice e il prevalere di un unico materiale sia all’esterno che all’interno: cemento armato a vista di colore bianco, usato anche nei fronti laterali, forati solo da piccole bucature quadrate.

L’ingresso alla chiesa avviene attraverso uno spazio compresso che dà accesso alla navata, una reinterpretazione del nartece come filtro tra la città e l’assemblea. Al di sopra di esso, internamente, è collocato lo spazio del coro. La navata è alta 8 metri all’ingresso, ma la copertura si alza progressivamente fino al raggiungere l’altezza di 11 metri in corrispondenza del tiburio, che in questo modo è inondato dalla luce. L’altare è posto in posizione avanzata a due terzi della navata in modo da accogliere i fedeli.

A sinistra si trovano i sedili per i prelati e la cattedra vescovile e a destra i seggi dei canonici. La parete dietro l’altare è definita da un doppio ordine di aperture; al centro, due pannelli raffigurano la Vergine e l’arcangelo Gabriele. Testo Gianpaola Spirito (1)

Gio (Giovanni) Ponti nacque a Milano nel 1891, e si laureò in architettura al Politecnico di Milano nel 1921, dopo aver interrotto gli studi a seguito della sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Nello stesso anno si sposò con la nobile Giulia Vimercati, di antica famiglia brianzola, ed ebbe quattro figli (Lisa, Giovanna, Letizia e Giulio) e otto nipoti.

Inizialmente aprì lo studio assieme all’architetto Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Gioacchino Luigi Mellucci (1927), Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945).

Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all’ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano.

Negli anni venti comincia la sua attività di designer all’industria ceramica Richard Ginori, e rielabora complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le ceramiche vince il “Gran Prix” all’Esposizione di Parigi del 1925. In questi anni la sua produzione è improntata più ai temi classici ed è vicino al movimento Novecento, che si contrappone al razionalismo del Gruppo 7.

Sempre negli stessi anni inizia anche la sua attività editoriale: nel 1928 fonda la rivista Domus, testata che non abbandonerà più, salvo che nel periodo 1941-1948 (in cui dirige la rivista Stile). Domus assieme a Casabella, rappresenterà il centro del dibatto culturale dell’architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento.

L’attività di Ponti negli anni trenta si estende: organizza la V Triennale di Milano nel 1933, disegna le scene ed i costumi per il Teatro alla Scala, ed è partecipe dell’associazione del Disegno Industriale ADI, essendo tra i sostenitori del premio “compasso d’oro” promosso dai magazzini La Rinascente.

Riceve tra l’altro numerosi premi sia nazionali che internazionali e così nel 1936, quando la sua professionalità è affermata, diventa professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, cattedra che manterrà sino al 1961.

Nel 1951, si unirà allo studio insieme a Fornaroli, l’architetto Alberto Rosselli ed intanto sia il design che l’architettura di Ponti diventano in questi anni più innovative abbandonando i frequenti riallacci al passato neoclassico. È qui che inizia il periodo di più intensa e feconda attività sia nell’architettura che nel design, negli anni cinquanta, infatti, verranno realizzate alcune delle sue opere più importanti.

Appartiene a questo periodo la costruzione, a Forlì, su incarico di Aldo Garzanti, del complesso, progettato nel 1953 e terminato nel 1957, che comprende sia l’Hotel della Città et de la Ville sia il Centro Studi Fondazione Livio e Maria Garzanti. L’edificio si segnala per i suoi spioventi invertiti, le finestre esagonali, gli spazi aperti ed il respiro fra i corpi.

Gio Ponti morirà a Milano nel 1979.