24 ANNI FA BETTINO CRAXI SE NE ANDAVA LASCIANDO ORFANI I SOCIALISTI ITALIANI.

del Professore Mario Guadagnolo

Non sono bastati 24 anni a sanare una ferita storica né a sedare l’ira di quel fantasma che ancora dopo un quarto di secolo si aggira per l’Italia chiedendo giustizia come il fantasma del padre di Amleto tra le torri del castello di Elsinore. Già perché ancora oggi la ferita delle monetine del Raphael, quando post-fascisti e post-comunisti come una canea infame al grido di “Craxi ladro socialisti ladri”, non si è rimarginata. Quelle squadracce perpetrarono uno dei più gravi misfatti della storia italiana che ancora grida vendetta. Quello è stato il giorno in cui io, che militavo nella sinistra socialista di Riccardo Lombardi e che consideravo i comunisti “compagni di viaggio” nella costruzione dell’alternativa socialista, sono diventato anticomunista. La seconda volta in cui mi sono confermato che i comunisti erano i veri nemici dei socialisti fu quando si rappresentò a D’Alema, allora Presidente del Consiglio e a Veltroni allora segretario del PCI, la necessità che Craxi, fosse curato in Italia al San Raffaele per il tumore ai reni che lo affliggeva e che lo avrebbe portato alla morte da lì a qualche mese. Quella volta sia D’Alema che Veltroni risposero testualmente “Quello di Craxi non è un problema politico ma un problema giudiziario. Craxi è un latitante internazionale che certo può tornare in Italia ed essere curato al San Raffaele ma va fatto quello che l’autorità giudiziaria ha stabilito, piantonato in ospedale e poi tradotto in carcere”. Fu allora che in tanti socialisti come me scattò la molla ideologica, culturale e politica del “Mai più col PCI. Meglio il diavolo”. Eppure Craxi era stato quello che si era speso senza riserve perché il PCI, ormai senza casa europea dopo la caduta del muro di Berlino, fosse accolto nell’Internazionale socialista. I socialisti spagnoli di Felipe Gonzales, quelli portoghesi di Mario Soares e quelli francesi di Mitterrand, non li volevano accogliere a causa della loro storia impresentabile di esecutori degli ordini di Stalin in Italia e in Europa. Malgrado le riserve di Gianni De Michelis Craxi, che inseguiva l’utopia dell’unità socialista, cioè l’unità di tutte quelle forze che in Europa si richiamavano alla sinistra, riuscì nell’intento e convinse i riottosi Gonzales, Soares e Mitterand e i comunisti furono accolti nella casa dei socialisti europei. Craxi si fece garante del fatto che i comunisti italiani avevano iniziato un percorso di revisione culturale ed ideologica che li avrebbe portati alla socialdemocrazia. Non era vero e lo stesso Craxi dovette ricredersi e verificare sulla sua pelle la perfidia dei nostri “compagni di viaggio”. Dal giorno dopo il loro ingresso nell’Internazionale socialista i post-comunisti iniziarono l’opera di demolizione di Craxi e dei socialisti definiti “ladri e corrotti”. L’Unità socialista vagheggiata da Craxi era una nobile utopia irrealizzabile poiché in Europa la leadership di quell’unità sarebbe stata necessariamente la sua e dei socialisti e non dei comunisti a causa della loro storia impresentabile. E questo Berlinguer e i comunisti non lo avrebbero accettato mai. Sono passati 24 anni dalla morte di Craxi, il PCI ha cambiato mille volte pelle e colore, da PCI si è trasformato in PDS, poi in DS, poi ha fatto la fusione fredda con i post-democristiani della Margherita ed è nato il PD. La ipocrita doppia morale, la doppiezza e l’opportunismo ereditati da Togliatti. La DC e Andreotti erano Belzebù se alleati con i socialisti per cui i socialisti erano “traditori della classe operaia”, diventarono di colpo democratici e affidabili quando al governo con Andreotti e la DC si apprestavano ad andarci loro. Era la politica berlingueriana del compromesso storico. Berlinguer e il PCI appoggiarono il governo di Belzebù-Andreotti alla vigilia del sequestro Moro. Il patto fu siglato e la linea della fermezza che condannava a morte lo statista democristiano ne fu il prezzo e il primo banco di prova. Quell’abbraccio delle bandiere bianche della DC con le bandiere rosse del PCI fu uno scandaloso incesto e un incasto connubio” tra due opposti il cui prezzo fu l’assassinio di Aldo Moro. Sono passati 24 anni e le cose non sono cambiate. Certo sono cambiate nei confronti di Craxi perché gli italiani hanno dovuto riconoscere, ma solo perché glielo ha riconosciuto la storia, che Bettino Craxi è stato un grande statista che traguardava il futuro di questo Paese e non quello che i comunisti avevano definito come un ladro internazionale. Non sono cambiati loro o, meglio, non è cambiata la loro cultura, il loro modo di rapportarsi con gli altri, la loro visione del mondo. Infatti, se la destra come scrive su Repubblica quell’intellettuale radical chic della sinistra che è Michele Serra, non ha ancora fatto i conti con la propria storia quegli stessi conti con la loro storia non li hanno fatti ancora neanche i post-comunisti. E si che ce ne sarebbe bisogno poiché prendere le distanze dalle due più grandi sciagure che hanno caratterizzato la storia del ‘900, Fascismo e Comunismo, farebbe della democrazia italiana una democrazia matura. Giustizialismo, settarismo faziosità, doppiopesismo, doppia morale, supponenza di chi, malgrado la valanga di scandali che li ha travolti in mezzo secolo di storia italiana, ritiene ancora migliore degli altri sono ancora le note caratteriali dei post-comunisti. Costoro infatti sono ancora convinti che i rubli che a valanga prendeva il PCI dell’onesto Berlinguer da Mosca e le tangenti che prendevano dalle imprese italiane, dato ormai consolidato dalla storia e dimostrato per tabulas come spiega Gianni Cervetti segretario amministrativo del PCI nel suo libro “L’oro di Mosca”, erano più puliti dei soldi che DC, PSI, PSI e PRI prendevano per finanziare i loro partiti. Sono passati 24 anni dalla morte di Bettino e ancora costoro si dicono socialisti in Europa ma non in Italia dove non riescono a pronunciare la parola socialismo. In Italia si chiamano partito democratico (che non significa nulla perché tutti i partiti della repubblica che si richiamano alla Costituzione sono per forza democratici) e non hanno il coraggio di chiamarsi partito socialista. Ancora oggi hanno la supponenza di fare le bucce agli altri partiti e di far loro l’analisi del sangue sul piano morale e sul piano della democrazia, chiedono alla destra di fare autocritica, gridano allo scandalo se quattro idioti fanno il saluto romano alla commemorazione dei loro camerati assassinati delle brigate rosse e incalzano Giorgia Meloni perché pronunci la parola antifascismo. Ma loro non dicono nulla dei loro pugni chiusi, non fanno mai autocritica della loro storia impresentabile, non dicono nulla su Togliatti che considerano ancora il Migliore, non fanno autocritica sull’allineamento con Mosca per l’invasione dei carri armati in Ungheria nel 56 e sul loro silenzio quando i carri armati sovietici invasero Praga e non pronunciano la parola anticomunismo. Nell’anniversario della morte di Craxi perfino la destra, Larussa, Fontana, Tajani, Meloni hanno parlato di Craxi come di un grande statista e Tajani come Presidente del Parlamento europeo è andato sulla tomba di Craxi. I nostri “compagni di viaggio” no e quando parlano di Craxi balbettano, sono esitanti, perdono la memoria, non sanno cosa dire, diventano afoni. Eppure, qualche scusa per quella stagione Craxi la meriterebbe tenuto conto che hanno fatto strame della sua vita privata, politica e addirittura familiare e ne hanno mascariato l’immagine internazionale. Lo ha fatto perfino Francesco Saverio Borrelli, il capo di Mani Pulite, tempo dopo quando si pentì per quello che aveva fatto «Se fossi un uomo pubblico di qualche Paese asiatico, dove come in Giappone è costume chiedere scusa per i propri sbagli, vi chiederei scusa: scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Ad Hammamet ci sono andati tutti. Qualcuno aveva pensato che quest’anno il 19 gennaio ci sarebbe andato anche qualcuno di loro. E invece no. I post-comunisti italiani non hanno avuto, ancora dopo 24 anni, l’intelligenza e la lungimiranza politica, il senso di autocritica e la saggezza di andarci e portare un fiore su quella tomba disadorna del piccolo e anonimo cimitero della Medina dove è sepolto un grande statista, un grande socialista, un grande italiano che ha amato e voleva fare grande il proprio Paese. E questo per i socialisti non è senza significato.