E dai tipi di documenti medesimi è rilevabile la presenza di masserie, è quella di Giovanni Antonio Del Balzo Orsini nelle terre del tarentino, oggetto di frazionamento nel 1402, quella colonica censita nel rendiconto del suddetto principe di Taranto, quelle di 200 tomoli presso la salina grande di Taranto nel 1411, quella di tomoli 50 circondata da muri e siepi che fu’ acquistata da un Notaio tarantino nel 1470,e quelle poste in località “ corte dell’arcidiacono” sempre in Taranto.
Che cosa rimane divisibile sul territorio delle masserie datate al basso medioevo? Al di là delle informazioni dei documenti scritti le indagini archeologiche, artistiche, architettoniche, cartografiche, cominciano a disegnarne una mappa più circostanziata delle emergenze rurali pugliesi attribuibili a quel periodo. Recenti studi sugli insediamenti rupestri del territorio di Altamura, hanno consentito di datare con minore approssimazione una serie di masserie, ed evidenziate opere murarie di chiara provenienza medioevale. Infatti al medioevo sembra poter datare, alcune recinzioni con
mura, entro cui vi è presenza di elementi architettonici, decorati, la cui provenienza risulta essere sicuramente di tipo medioevale.
Nell’intera regione il rapporto tra masserie medioevali e masserie di età moderna e contemporanea si rileva ben più saldo di quanto non sia stato sin ad ora supposto.Non poche delle masserie ricostruite o fortificate tra il ‘600 ed il ‘700 richiamano in qualche misura elementi materiali risalenti al medioevo e tal volta ad età precedenti.
Tra esse masserie è indicata, se pur in agro di Montemesola, subito a ridosso dell’agro di Grottaglie, della masseria “BADIA” i cui ambienti si sono sviluppati attorno ad una torre merlata quattrocentesca. Oppure la masseria Galeasi nelle vicinanze dell’asse di comunicazione Taranto-Oria.
Si riporta si da ora una campionatura differenziata di masserie, da quelle che appartenevano al grande feudatario o alla proprietà ecclesiastica,
descrivendo si da ora la costituzione del personale in una masseria, valutati, quest’ultimi, tramite la COSTITUTIO FEDERICIANA quale proiezione ideale dell’ immagine alta della masserie regia, che di fatto non doveva trovare un rilevante riscontro nella realtà quotidiana,. nonchè attraverso la valutazione particolareggiata delle norme contenute in una serie di Statuti dell’età dei Manfredi.Nello stutum massariarum si stabiliva che per ogni azienda, “secudum consilium et arbitrium magistri massarii”, doveva lavorare stabilmente un congro numero di dipendenti ( la famiglia), distinti secondo le mansioni, il “vaccarium ad vaccas”, il “porcarium ad porcus”, e Così via. Secondo lo statutum massarium et primo de grege porcorum questi lavoratori dovevano ricere “pro eorum victu” un tomo e mezzo di frumento ( pari a circa 100 chilogrammi) al mese per ciascuno, mentre il doppio andava ai lavoratori che non dipendevano direttamente dai massari.
Uno stipendio di 4 once all’anno era fissato per il notaio previsto per ogni masseria; oltre a costoro durante la stagione agraria venivano impiegate altre persone, altri lavoratori stagionali quali erano i mietitori. Queste persone venivano arruolate dalla figura dell’antiniere sempre presente all’interno della masseria, il quale aveva il preciso compito di arruolare manodopera all’interno dei centri urbani per conto del proprietario-feudatario; i mietitori si
recavano in Puglia verso gli ultimi giorni del mese di Maggio, essi senza dubbio erano piccoli coltivatori, che per arrotondare il magro reddito scendevano dai propri presidi montani nella fertile Puglia.
Il termine fertile, deve intendersi come implicita sottolineatura ed esaltazione della funzione che essa aveva nella struttura economica del regno, cosa ben evidenziata con l’ulteriore sviluppo del XVI sec.
La Puglia diventava inevitabilmente punto di riferimento cerealicolo, dato l’impressionante sviluppo demografico che si ebbe nella capitale del regno, per cui necessitava di grandi quantità di frumento; si era così venuto a spezzare il cerchio dell’autoconsumo, creando così un mercato, quello napoletano, che non poteva essere più fornito con il surplus della piccola produzione contadina.
C’era uno stretto rapporto tra l’aumento della popolazione di Napoli, ed il rilievo che la grande masseria assunse nel corso del XVI e XVII sec. non solo
come elemento caratterizzante il territorio pugliese ma divennero strumento essenziale per l’approvvigionamento della capitale, e quindi per il funzionamento dell’intero sistema economico e politico sociale del regno, il rapporto politico sociale fu’ un elemento che successivamente portò ad una crisi di questo sistema, data proprio la sua peculiarità di abbondanza e di ricchezza, a cui si dovrà legare in seguito al grave fenomeno del brigantaggio, per tutta una serie di motivazioni che in seguito si esporranno.
Infatti nonostante queste grandi produzioni, e contemporaneamente il sempre aumentare delle richieste di derrate alimentari da parte della capitale, portarono allo svuotamento degli approvvigionamenti dei piccoli produttori, mettendo in crisi i propri bilanci familiari; il commercio dei cereali era inaccessibile ai piccoli produttori , non potendo gli stessi accedere ai mercati, causa l’esistenza nel XVI sec. di una società feudale costituita da baroni, che monopolizzavano gli stessi mercati.
Tale monopolio era una efficace strumento di potere economico e politico locale. Essi avevano il potere di far variare i prezzi a proprio piacimento, e fu questo un’ altro di quei periodi favorevoli ai grossi arricchimenti e quindi all’accrescimento dei baroni, con le relative conseguenze.
Nel mezzogiorno si verificò che la produzione mercantile delle grandi masserie pugliesi, dal XVI al XVII sec., coesistette con altre forme di produzione, quale l’allevamento del bestiame, senza conoscere nessuna trasformazione significativa e senza dare l’avvio ad uno sviluppo capitalistico; ciò fu dovuto essenzialmente alla rigida collocazione della produzione mercantile nella struttura feudale del regno, la cui espressione era evidenziabile nell’organizzazione generale della società meridionale, con la subordinazione delle campagne alle esigenze annonarie di Napoli, con il feudo che, in quanto tale, era più un centro di raccolta della produzione che un vero e proprio centro produttivo, con la prevalenza delle esigenze della sussistenza, e per ciò dello scambio, sulla quella della produzione.
Trovava un’altra specifica espressione all’intero della rendita feudale, le grandi aziende agrarie, di solito erano parte di un più ampio e articolato patrimonio feudale, accanto a molte altre fonti di rendita e di reddito, quali le aziende ed i feudi.
In genere, l’amministrazione dei beni non era coordinata, in quanto ogni elemento del patrimonio, singolo feudo o masseria, o insieme di feudi raggruppati localmente, tendevano all’autosufficienza, che in una società stagnante significava il fine ottimale della gestione non era lo sviluppo dell’azienda ma la sua riproduzione; era importante non registrare perdite, per non gravare sugli elementi attivi del patrimonio , ma gli utili conseguiti non venivano reinvestiti se non nella misura necessaria a riprodurre nella masseria le stesse condizioni di lavoro.
Lavoro che all’interno delle masserie portava a spese eccessive, infatti non vi è dubbio che esistessero dei salari fissi per tutto l’anno, i quali si occupavano di quelle attività che non subivano interruzioni quali l’allevamento e il lavoro nei campi.
Tali attività, occupavano per masserie di media grandezza non meno di 50 persone tra fissi e giornalieri.
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