8/20.SPECIALE UVA NOSCIA .IL SISTEMA RURALE DELLE MASSERIE DEL MERIDIONE:LA DOGANA ARAGONESE ED IL PAESAGGIO SOCIALE DAL XVI -XVII SEC. (PARTE 8 /20).

Ma non tutto è chiaro nella vicenda, poiché nel triste episodio si mescolano gelosia, passione e intrigo politico. In Terra d’Otranto, infatti, all’indomani del fallimento della Repubblica Napoletana (1799), si vive in un’atmosfera di continui rivolgimenti politici e di fermento sociale e militare, tra spinte rivoluzionarie e freni di restaurazione.

Fuggito dal paese natio, egli viene condannato a 15 anni d’esilio, catturato e detenuto per qualche anno nel carcere di Lecce. La sua vita, a causa di quel primo omicidio, è ormai segnata dalla cattiva sorte e una serie mirabolante di eventi e di gesta lo avvolgeranno in breve in un alone di leggenda e di mito:

  • dal presunto omicidio alle evasioni incredibili dal carcere di Lecce;
  • dalla forzata assenza, al ritorno in paese in concomitanza con il variare della situazione politica;
  • dal tranello in cui uccidono un suo fratello, alla spietata vendetta, al brigantaggio con uccisioni, violenze, sequestri;
  • dalla svolta politica consistente nella fattiva collaborazione con la Carboneria contro i Borboni e per una “Repubblica Salentina, primo anello di una più Grande Repubblica Europea”, alle utopie di un rinnovato ordine sociale, politico e religioso;
  • dal tradimento dei Carbonari, alla sua cattura e fucilazione.

Diversamente da tanti altri briganti, Don Ciro diede una forte connotazione politica alla sua azione inserendosi attivamente nel movimento carbonaro e ponendosi alla testa della temibile setta dei “Decisi” che aveva riorganizzato.

Egli spadroneggiò per oltre 15 anni nella penisola salentina e in particolare nella zona tra Grottaglie, Francavilla, S. Marzano e Ostuni e Martina, in particolare nella Masseria Monti del Duca di proprietà nel 1742 del duca di Martina e di seguito 1812 di Caracciolo Placido di Martina Franca; masseria che venne ispezionata dal generale Church, durante la battuta per la cattura della banda Annicchiarico, nelle carte antiche segnata come torre rossa . Suo rifugio erano le fitte boscaglie e le grotte delle alture, come attesta il toponimo del monte che ancora porta il suo nome, il Monte Papa Ciro non lontano dal Monte Trazzonara tra Martina e Grottaglie.

Tornato in possesso del regno,  Ferdinando I, concesse una amnistia anche a molti altri delinquenti e venne a patti con altri briganti come i Vardarelli; la negò invece all’Annicchiarico che venne così dichiarato fuorbandito.  A seguito di ciò  Prete Brigante il 6 novembre 1817, scrisse in propria difesa una interessante e Giustificazione indirizzandola alla Commissione Provinciale di Terra d’Otranto. Si riuscì a risolvere (almeno provvisoriamente) il problema del brigantaggio in Puglia, affidando il compito al generale irlandese Richard Church che era al servizio e al soldo dei Borboni con un piccolo esercito di truppe estere.

L’azione del Church nei confronti dei briganti fu rapida ed efficace. Durante la campagna contro i briganti, il primo obiettivo fu proprio il pericoloso D. Ciro Annicchiarico e la setta dei Decisi che,  non senza il tradimento degli stessi carbonari, il 25 gennaio 1818, vennero battuti dalle truppe regolari a San Marzano.

Don Ciro, asserragliatosi con i suoi fedelissimi nella torre di Masseria Scasserba,  dopo una strenua resistenza, il 7 febbraio 1818 si consegnò al maggiore Bianchi dietro solenne promessa di aver salva la vita.

Venne invece arrestato e condotto a Francavilla dove, dopo un processo sommario, fu fucilato il giorno seguente nella pubblica piazza.

Le sue vicende e le sue gesta, inserite in un alone di mito e di leggenda, trovarono immediata e larga risonanza in Inghilterra, Germania, America e, successivamente, in Italia. La sua vita, sfrondata dalla leggenda e dal mito, è stata ricondotta nella reale dimensione storica nei precisi studi di Pietro Palumbo (1901, 1904 e 1911), di Antonio Lucarelli (1942) e ultimamente di Rosario Quaranta (1991 e 2005).

Per un approfondimento si veda: Rosario Quaranta, La vera storia del Prete Brigante. Don Ciro Annicchiarico (1775-1818). Edizioni del Grifo, Lecce 2005.

Francavilla nel 1818, sono state narrate, con gli intenti e gli esiti più diversi, in una significativa letteratura d’oltralpe e nostrana: dai Memoirs d’un tal Bertholdi del 1821 alla Storia in versi dialettali del coevo Leonardo Arcadio; dai Ricordi del generale irlandese Richard Church, che riuscì a catturarlo, alle ricostruzioni storiche di Pietro Palumbo e Antonio Lucarelli. Don Ciro Annicchiarico, noto anche come papa Giru, può ritenersi uno di quei personaggi che più colpiscono la fantasia e la curiosità: prete a 24 anni, non estraneo alle idee giacobine e rivoluzionarie, viene accusato dell’omicidio di un altro ecclesiastico per gelosia; incarcerato, riesce a evadere più volte; dopo anni di vita raminga e difficile diventa il capo di una banda di briganti che in breve terrorizza il Salento; passa al brigantaggio politico riordinando la setta dei Decisi e mettendosi al servizio della Carboneria; tradito da tutti e fatto oggetto di una vera e propria campagna militare, è catturato e giustiziato. Gesta brigantesche che, al pari di tante altre, hanno trovato ospitalità e amplificazioni in diverse pubblicazioni di carattere popolare. Segno, questo, di grande popolarità e motivo, pure, di una certa difficoltà di

comprensione e interpretazione del personaggio: volgare malandrino o paladino della giustizia sociale, empio sanguinario o pacifico utopista Le vicende avventurose del brigante pugliese Ciro Annicchiarico, nato a Grottaglie nel 1775 e fucilato a politico, settario crudele o carbonaro e patriota, ministro di Dio o massone e libertino… Il libro ripropone oggi questa discussa figura inserendola nel difficile momento storico in cui venne a trovarsi, in un genere inconsueto che sta tra il saggio storico e l’analisi letteraria. Il pensiero che la vita tempestosa di questo singolare brigante potesse essere presentata ancora oggi coniugando meglio i risultati dell’indagine storica con una dimensione narrativa più accessibile, ha indotto l’Arcadio a scrivere questa sorta di biografia che del romanzo assume solo alcune connotazioni formali, poiché è costruita, salvo rari momenti ed episodi, su dati e fatti realmente accaduti e vissuti, taluni peraltro inediti. Torna così a rivivere in queste pagine un personaggio emblematico di un periodo difficile e complicato. L’uccisione misteriosa di un ecclesiastico, avvenuta nel 1803, subito dopo la festa della Madonna del Carmine, sconvolge la vita di Grottaglie, piccolo centro dell’antica Terra d’Otranto. Accusato dell’omicidio per motivi di gelosia è un giovane e brillante sacerdote appartenente alla fazione giacobina, Don Ciro Annicchiarico. La sua fuga sembra avallare l’opinione corrente ed egli viene così condannato a quindici anni di deportazione. Ma non tutto è chiaro nella vicenda, poiché nel triste episodio si mescolano gelosia, passione e intrigo politico. In Terra d’Otranto, infatti, all’indomani del fallimento della Repubblica Napoletana (1799), si vive in un’atmosfera di continui rivolgimenti politici e di fermento sociale e militare, tra spinte rivoluzionarie e freni di restaurazione; e a Grottaglie accesa era la divisione politica. La vita di Papa Ggiru (ossia Don Ciro Annicchiarico), a causa di quel primo omicidio, è ormai segnata dalla cattiva sorte e una serie mirabolante di eventi e di gesta lo avvolgeranno in breve in un alone di leggenda e di mito: dal presunto omicidio alle evasioni incredibili dal carcere di Lecce; dalla forzata assenza, al ritorno in paese in concomitanza con il variare della situazione politica; dal tranello in cui uccidono un suo fratello, alla spietata vendetta, al brigantaggio con uccisioni, violenze, sequestri; dalla svolta politica consistente nella fattiva collaborazione con la Carboneria contro i Borboni e per una “Repubblica Salentina, anello di una più Grande Repubblica Europea”, alle utopie di un rinnovato ordine sociale, politico e religioso; dal tradimento dei Carbonari, alla sua cattura e fucilazione avvenuta

a Francavilla 1’8 febbraio 1818. Ancora oggi Papa Ggiru incuriosisce per quella ambiguità che lo caratterizza: allo stesso tempo ministro di Dio e massone, settario crudele e profeta di una impossibile utopia politica, disinvolto grassatore e paladino della giustizia sociale. Continua così a far parlare di sé uno dei personaggi più interessanti della Puglia preunitaria, con la sua storia avventurosa, ambigua e contraddittoria, sfrondata dal mito e dalle amplificazioni leggendarie. Ciro Nicola Annicchiarico nacque a Grottaglie il 15 dicembre 1775 da Vincenzo e da Ippazia D’Alò. Ancora fanciullo, fu messo a studiare nel seminario di Taranto. Fu ordinato sacerdote nel 1801 ed inviato presso il capitolo della Collegiata grottagliese svolgendo la carica di procuratore dei morti. Possedeva buona cultura letteraria, filosofica e teologica. L’omicidio di Giuseppe Motolese, avvenuto il 16 luglio 1803, sotto l’arco della Madonna del Lume, sconvolse la sua vita. Infatti, fu accusato di tale atto criminoso, dato che fra i due c’era una certa rivalità, in quanto innamorati della stessa donna, una certa Antonia Achille. Nonostante

le proteste di innocenza di Ciro, il padre dell’ucciso, Nicola Motolese, soprannominato “lu finucchiu”, lo denunciò alla Regia Corte e brigò per la sua cattura. L’Annicchiarico sfuggì alla cattura; quando seppe che i suoi fratelli erano stati imprigionati come favoreggiatori della sua latitanza, si consegnò spontaneamente ai magistrati di Trani ma fu tradotto a Lecce e imprigionato. Dal carcere evase per ben due volte e, approfittando della confusione provocata dall’avvento di Napoleone, fece ritorno a Grottaglie, vivendo quietamente, protetto dai fratelli e dall’amicizia di Gennaro Andretta, governatore regio, e dalla potente famiglia Sanarica. Nel 1808 Nicola Motolese premette ancora presso il tribunale di Trani per il suo arresto: di ciò fu incaricato il generale Ottavi, il quale fallì nell’impresa. Alcuni anni più tardi, nel 1812, il tribunale di Lecce incarica il brigadiere Bourguignon della cattura del prete. Conoscendo l’abilità di Ciro e le sue protezioni, il brigadiere ricorre ad uno stratagemma. Con una certa Achille Antonia, che dispensava le sue

grazie ad entrambi, organizza una cena-trappola. Ma anche questa volta Ciro riesce a sfuggire alla cattura; nel trambusto, però, rimane ucciso il fratello Emanuele. Da quel momento in poi organizza una banda di briganti. Il primo atto è l’uccisione di Nicola Motolese, poi affronta la guardia civica di Grottaglie, compie azioni criminose in tutto il Salento. Il 16 agosto 1814, un fuorbando lo obbliga ad un soggiorno obbligato a Bari; informato che sarebbe stato arrestato, scappa. In questo periodo trasforma il suo brigantaggio in uno politico, propugnando idee giacobine e di libertà. Organizza la setta dei Decisi, con Pietro Gargaro. Ben presto Ciro si accorge che il suo programma non può essere realizzato, per cui cerca di ottenere un’amnistia, in cambio dei suoi servizi. La risposta dell’autorità è un nuovo fuorbando(1817)firmato dall’intendente Acclavio, dal procuratore Scarciglia e dal comandante De Manthonè. Intanto gli eventi precipitano e si trama alle sue spalle. Il Re assolda il generale irlandese Richard Church, col compito di riportare l’ordine

in Puglia. Questo inizia a tessere la tela che porterà alla cattura del brigante, servendosi di dirigenti carbonari, come l’avvocato Astuti ed il barone Scazzeri, amici dell’Annicchiarico. L’azione del generale è pressante, tanto da obbligare il prete ad agire in un territorio ristretto, compreso tra Grottaglie, Ceglie ed Ostuni e San Marzano. Qui vi avviene uno scontro con le truppe di Church, ma l’Annicchiarico riesce a sfuggire. Si rifugia nella masseria di Scasserba, a pochi chilometri da Grottaglie: è il 6 febbraio 1818. Ciro si difende strenuamente, infine decide di arrendersi e concorda, con il comandante Bianchi, la modalità della sua cattura. Gli si promette di aver salva la vita ed un colloquio col generale. Ma una volta catturato, questo non lo ascolta per nulla, lo fa trasferire a Francavilla Fontana e, dopo un sommario processo, lo fa fucilare nel pomeriggio dell’8 febbraio 1818.La testa gli fu recisa ed esposta nella pubblica piazza di Grottaglie fino al maggio dell’anno successivo.

BIBLIOGRAFIA

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(21) Le cento masserie di Crispiano (Taranto) a cura del Comune di Crispiano