10/20.SPECIALE UVA NOSCIA.IL SISTEMA RURALE DELLE MASSERIE DEL MERIDIONE:LA DOGANA ARAGONESE ED IL PAESAGGIO SOCIALE DAL XVI -XVII SEC. (PARTE 10 /20).

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La terza fase è quella della “maturità” ove la rendita aumenta in tutte le sue forme, quali, la rendita del denaro, la rendita fondiaria, la rendita della chiesa, la rendita dell’autorità, l’usura, l’affitto agricolo la decima e il fisco.

Tutto questo non può definirsi la felice maturità delle società industriali o almeno di quelle più favorite, ma si tratta in particolar modo di un periodo di malessere, di tranelli e di difficoltà sempre più grandi, di ostacoli che si accumulano; un periodo in cui il prodotto lordo nel lungo periodo, continua a rimanere stazionario, in cui la popolazione e perciò costretta a rallentare il proprio sviluppo e in cui i capitali deviano verso la rendita.

La quarta ed ultima fase è costituita dal riflusso di lungo periodo.

L’andamento demografico che si ebbe in Puglia in corso del XVI sec. consentì di individuare con molta precisione un fase del grande ciclo agrario, infatti, dal 1532 al 1595 si ebbe un crescita costante della popolazione che, nelle tre provincie che formavano la Puglia, passò 69.140 fuochi ( un fuoco corrispondeva a 4 persone) del 1532 ai 133.655 fuochi del 1595, con un incremento del 93%.

All’interno della regione pugliese l’incremento maggiore si ebbe in terra di Bari ed in terra d’Otranto con il 72%.Nonostante il minore incremento percentuale, quest’ultima restava però, alla fine del secolo, la provincia più popolosa della Puglia.

La crescita fu’ costante, come è testimoniato dalle misurazioni intermedie dei censimenti del 1545 e del 1561espressa in fuochi:

anno di riferimentoCAPITANATATERRA DI BARITERRAD’OTRANTO 
 153211052 fuochi25.151 fuochi32.937 fuochi 
 154516.911 fuochi35.539 fuochi40.555 fuochi 
 156119.648 fuochi38.861 fuochi50.891 fuochi 
 159523.405 fuochi53.513 fuochi56.737 fuochi 

In questa fase del ciclo agrario, all’elasticità dinamica della popolazione si contrapponeva l’ostinata rigidità della produzione agricola.

Per quanto essa potesse essere combattuta e vinta con l’estensione delle coltivazioni restava, tuttavia, come già detto, una forte tensione nel rapporto popolazione risorse: uno degli effetti di queste tensione nel corso del XVI sec., fu dato indubbiamente dalla notevole crescita dei prezzi.

Si trattò, come è noto, di un fenomeno che ebbe portata e ragioni europee e che sarebbe perciò errato considerare soltanto in rapporto alle vicende interne del regno, ma sarebbe altrettanto errato considerarlo soltanto nel quadro della “rivoluzione dei prezzi”, senza tener conto del peso che la necessità, per la produzione di seguire la crescita della popolazione ebbe nel determinare l’incremento del prezzo del grano, che costituivano un’importante punto di riferimento per tutti gli altri. Il fatto che adesso non si sia accompagnato un parallelo aumento dei salari significò che con la stessa

quantità di salario ( o comunque di denaro) si potè disporre di una minore quantità di grano.

Nel 1502 con un ducato era possibile acquistare 226 chilogrammi di grano, ma le oscillazioni congiunturali del raccolto avevano un’importanza determinante nello stabilire il prezzo; infatti , nel 1503 la quantità era già scesa a chilogrammi 102,45.

Negli anni seguenti, le variazioni dei prezzi, conseguenza di quella dei raccolti furono notevoli: nel 1508 con un ducato si potevano acquistare chilogrammi 96,8 chilogrammi di grano, mentre nel 1514 se ne potevano acquistare chilogrammi 243,8.

Le annate di raccolto scarso si susseguirono sin quasi agli anni ottanta, che portarono automaticamente ad una lievitazione dei prezzi rendendo teso il rapporto tra popolazione e risorse; le violente oscillazioni da un anno all’altro, o nel corso dello stesso anno, non erano rare ed erano indubbiamente assai dannose per i massari , sopra tutto per quelli che non potevano immagazzinare il grano nelle fosse ed erano costretti a vendere a prezzi concorrenti di mercato.

Alla fase di espansione demografica del periodo che và dal 1532 al 1595 seguì una fase di “maturità”, cioè di stagnazione, che durò sino alla crisi di metà secolo ( 1647-1656); questa fase del grande ciclo agrario può essere ricostruita in maniera meno precisa di quella precedente.

Per la misurazione si possiedono infatti soltanto le informazioni fornite dai censimenti del 1595 e del 1648:mancano i censimenti intermedi. Si potrebbe per cui supporre che la crescita sia continuata anche dopo il 1595, e che per la punta più alta dell’espansione sia stata raggiunta non alla fine del secolo XVI, ma nei primi decenni di quello successivo. Di conseguenza , la fase della crescita risulterebbe più lunga, mentre quella della “maturità” sarebbe notevolmente abbreviato.

Una soluzione, sia pure non assolutamente certa, di questo problema si può avere se si compone il movimento demografico generale in una serie di movimenti particolari; esaminando infatti, per singole zone e per singole università, si può rilevare che esso è la risultante di processi che hanno un diverso andamento cronologico.

In alcuni luoghi del regno l’espansione si arresta nel 1545, e nel 1561; in altri prosegue dopo il 1595.L’incremento massimo, misurato dal censimento del 1595 e per ciò una sommatoria di processi che hanno un carattere diverso: alcuni di crescita, altri di stagnazione, altri , infine, di declino e crisi.

Dal 1595 al 1648 i fuochi nel mezzogiorno scesero da 540.090 a 500.202 ( con una diminuzione del 7,3%).

In Puglia la diminuzione fu inferiore: i fuochi complessivi scesero da 133.655 a 126.731, con un calo del 5,1%.Le differenze tra l’una e l’altra provincia furono minime: in terra d’Otranto da 56.737 a 54.604 ( meno 3,7%); il decremento demografico che vi fu’ nel regno dal 1595 al 1648 toccò dunque la puglia in misura molto ridotta meno delle altre regioni del regno.

Se come abbiamo fatto per il 1532 e 1595, considerando il movimento demografico nei centri con più di mille fuochi, possiamo ricavarne altre utili indicazioni; in terra d’Otranto, tra i centri superiore ai mille fuochi c’era stato un notevole declino nel territorio di Lecce che restava, comunque, il maggior centro della regione ed uno dei maggiori del regno.

Nelle altre zone la popolazione era rimasta sostanzialmente stazionaria.

Anche qui il calo, del resto lieve, aveva interessato sopra tutto le campagne e centri minori. Il dato di Lecce costituisce in realtà un’eccezione: possiamo ipotizzare che avesse cessato di essere un polo di attrazione per l’immigrazione proveniente dalle campagne.

                         PERIODO  
    LOCALITÀ         1595 (fuochi)          1648 (fuochi) 
BRINDISI  1948      1946 
CASALNUOVO  1009   1029 
CASTELLANETA  1135   1300 
GALLIPOLI  1285   1285 
GROTTAGLIE  1239   1239 
LECCE  6529   4623 
MARTINA FRANCA  2033   2033 
NARDÒ  1696   1696 
OSTUNI  1806    1806 
TARANTO  3000    3000 
    
    
    

I processi demografici consentono dunque di individuare con sufficiente chiarezza una DEI FUOCHI NELLE TRE PROVINCIE fase di “ maturità” ed anche l’inizio di un lento riflusso. L’andamento dei prezzi sembra legato a quello del ciclo demografico: come nel corso del XVI sec. la loro ascesa può essere, in parte , messa in rapporto con le tensioni che l’incremento della popolazione esercitava sulle risorse disponibili così il venir meno di quella tensione può, in parte, per la prima metà del XVII sec, spiegare l’andamento oscillante dei prezzi.

L’influenza della rivoluzione europea sembra venuta meno e vengono in primo piano ragioni interne: oltre al movimento demografico la crisi di sovra produzione, che si ebbe in Puglia verso il 1610, fu proprio questa, alternata alle carestie, a creare scompensi nell’ambito sociale della struttura rurale.

Gli anni che vanno dal 1600 al 1604 segnano una prima battuta d’arresto nel movimentato ascendere che si era avuto a partire dal 1580 sino al 1584.

Esso sembrò riprendere negli anni che vanno del 1605 al 1609, ma negli anni seguenti si ebbero un vero e proprio crollo; i prezzi infatti, diminuirono della metà i Gesuiti di fronte alla crisi provocata dai bassi prezzi del grano pensarono di vendere le loro masserie di Orta, Ordona, Stornara e Stornarella, quali grandi masserie produttrici di grano.

Anche la Puglia, come tutto il mezzogiorno, fu colpita, a metà del XVII sec., da una gravissima crisi, la cui importanza nella storia del mezzogiorno appare sempre più evidente, man mano che le nostre conoscenze si vanno accrescendo. Si trattò di una crisi  generale, che investì tutte le strutture della società si articolò in due momenti distinti;

1) crisi economica, sociale e politica ( 1647-1648);

2) crisi demografica ( 1656).

Queste due crisi segnano inequivocabilmente la fine del “ grande ciclo agrario”: dopo la pestilenza del 1656 i fuochi scesero dai 500.202 del 1648 ai 394.721 del 1669.

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(14) Il risorgimento di Antonio Gramsci. Editori Riuniti 1955.

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(17) Storia d’ Italia. Dal primo settecento all’ unità. Terzo volume. Edizione G.Einaudi  editore  1973.

(18) Storia d’ Italia .Dall’unità ad oggi. Volume IV.Edizione G.Einaudi 1975.

(19) A.A.V.V. – 12 masserie del tarantino a cura del circolo Italsider di Taranto.

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(21) Le cento masserie di Crispiano (Taranto) a cura del Comune di Crispiano