4/5.SPECIALE ORECCHIETTE NELLE ‘NCHIOSE: FORMAZIONE DELLE ‘NCHIOSCE(RUGHE) NEL CENTRO STORICO DI GROTTAGLIE TRA CASE DI VICOLI.I DISEGNI DEI PROSPETTI PRINCIPALI.

PIANO DI RECUPERO DEL CENTRO STORICO PARTICOLAREGGIATO PER LA CITTÀ ANTICA E PER IL QUARTIERE DELLE CERAMICHE DI GROTTAGLIE   DEL PROFESSOR PIERLUIGI CERVELLATI 2001-02 DI GROTTAGLIE DI PIERLUIGI CERVELLATI (ARCHITETTO BOLOGNESE).

La Grottaglie (che riflette la struttura originaria, derivante dall’assetto geo-morfologico del territorio di fondazione) é una parte della città che consideriamo “centrostorico”. Il lavoro inerente questo piano di recupero, si limita ad un perimetro precisoche esclude -proprio perché strutturalmente diversa- la zona che risulta già costruita eurbanizzata nel rilievo catastale degli anni ‘20. Il “centro storico” di Grottaglie si forma–giova ripeterlo- fino agli anni del secondo conflitto mondiale.

La presenza di attivitàburocratico-amministrative, di scuole superiori, di laboratori artigianali, di professionistinon solo legati alla Giustizia, di componenti religiose anche cospicue, non modifica la centralità sociale ed economica dell’agricoltura. E’ nel secondo dopoguerra che si manifesta il passaggio dall’attività “primaria” dell’agricoltura a quella “secondaria” dell’industria. Anche se non ci sono “industrie” simili a quelle che si insediano nel capoluogo, Grottaglie cresce di popolazione. Aumentano in progressione geometrica le case e le strade.

Prende avvio la costruzione della nuova città e il centro storico, specie nella parte più antica, quella che consideriamo d’impianto diverso da quello ippodameo, incomincia a svuotarsi.

Nel 1° rapporto si fece riferimento a questioni che sono sembrate incompatibili con il tema che stiamo affrontando. Ritengo, forse sbagliando, che sia opportuno -prima di entrare nel merito specifico del nostro lavoro- riprendere una questione che sta alla base delle finalità proprie delle ricerche e delle scelte progettuali che si vanno compiendo.

Trattandosi di “centro storico” ritengo opportuno ri-sottolineare, anche in queste note, come la “logica dell’emergenza”, propria del tempo vettoriale, ci costringa a comportamenti omologanti quanto ripetitivi. La miopia territoriale della nostra epoca si è tradotta e continua a tradursi, in un’amnesia rispetto al passato, anche prossimo, e al contempo in un’incapacità di iscriversi in un futuro sensato.

La cultura della “lunga durata ” rimane l’unico ambito entro cui si possono mettere in opera delle reali strategie di sviluppo. Un’etica del futuro impone di mettere in discussione le modalità operative basate sulla

rigidità e sul rifiuto della prospettiva. Se non si interviene in tempo, le generazioni future non avranno il tempo di agire. Oggi in mancanza di un legame vivo fra passato e avvenire, ogni riferimento alla tradizione è condannato ad apparire come un blocco ideologico, come un “ fondamentalismo ” regressivo, mentre i progetti per il futuro appaiono una forma svalorizzata dell’utopia.

Il “presente” lo ridico parafrasando le parole di Tommaso d’Aquino é l’intersezione fra passato e futuro. Noi guardiamo al passato con gli occhi del presente; noi ipotizziamo il futuro con gli occhi del presente.

Ormai l’85 per cento dei nuclei familiari é proprietario della casa in cui abita.

(Cinquant’anni fa neppure un quarto lo era). Però gran parte del centro storico è vuoto, disabitato. In alcuni casi diruto; come nel cosiddetto “palazzo del principe”, come nel palazzo diroccato -ormai senza nome- adiacente alla nuova costruzione bancaria. C’è un grande spreco. Spreco di terra un tempo agricola che ora, abbandonata, è in attesa di essere edificata. Spreco di case già costruite e poco o nulla abitate. Lo spreco produce degrado. E il degrado, si sa, determina violenza. In questa fase, di sempre maggiore abbandono (o di sfruttamento intensivo) del territorio agricolo e di fuga dal centro storico, (non solo dalla zona racchiusa dal perimetro del piano particolareggiato) la progettazione dell’assetto economico e spaziale della città non può avvenire con i criteri in essere fino a qualche anno fa. L’obiettivo non può limitarsi a “razionalizzare ” (regolare) ipotetiche quanto generiche espansioni. Siamo in una congiuntura sociale ed economica che impone non solo un diverso modo di organizzare la città e il suo territorio, quando un approccio che abbia come presupposto la ricerca e la valorizzazione della qualità. Qualità dell’ambiente –costruito e naturale- senza ignorare il senso e l’orientamento dell’evoluzione economica indispensabile per qualificare città e territorio, per renderli –città e territorio – maggiormente vivibili, tali da costituire per tutti uno scenario confortevole. E questa “qualità” la si può raggiungere partendo proprio dal centro storico.