FOTO DI VINCENZO ORLANDO 2025
DI COSIMO LUCCARELLI
Da oltre 200 anni San Ciro a Grottaglie non è solo processione di devoti ma anche attesa per trovarsi attorno alla fòc’ra il giorno della vigilia con amici, parenti e conoscenti. La fòc’ra (pira), una grande catasta di legna di vario genere: tronchi enormi, ceppi e rami di ulivo e pino, sarmenti e altro materiale legnoso, che i devoti depositano nel luogo indicato dagli organizzatori. Viene costruita da mani esperte a forma di piramide, avente all’interno una camera per agevolare l’accensione e il tiraggio, che nei secoli ha subìto diverse collocazioni. Una rievocazione per ricordare il martirio del santo che prima di essere decapitato venne gettato nelle fiamme ardenti senza però morire. L’impegno per realizzarla è faticoso ma i devoti cercano di costruirla sempre con tanta passione per rispettare l’antica usanza grottagliese.
n passato si accendeva in Piazza Regina Margherita, davanti alla Chiesa Madre, così da tenerla accesa anche il giorno dopo quando rientrava la processione. L’uso di bruciare grandi falò è ancora comune a molte città del sud in quanto legata a feste e tradizioni dedicati a santi particolari e quindi il fuoco assume uno straordinario significato magico – religioso. La storia racconta l’evoluzione dei vari significati nel tempo: nella mitologia erano “scintille di vita e libertà”, con il cristianesimo antico simbolo di “paura” per ciò che esiste nel regno degli inferi e nel Purgatorio, con quello moderno la devozione ai santi come “ricordo del martirio”. Intese in questo modo, le “cerimonie del fuoco” sono state considerate da sempre come riti di passaggio e/o di apertura oppure di rievocazione di torture e morte per la fede. Ma il fuoco d’inverno riscalda specialmente quando non c’erano le comodità come quelle di oggi. Così nel passato la devozione popolare, radicata nel cuore della semplicità e della bontà dei nostri antenati, si manifestava sulla bocca dei presenti alla pira con questo detto: «Tu sei benedetto, Dio onnipotente, creatore della luce, che con il fuoco hai guidato il tuo popolo nel deserto verso la Terra promessa… Benedici questa fòc’ra accesa in onore di san Ciro medico, eremita e martire… Accendi nei nostri cuori il fuoco del tuo amore e fallo ardere». Il falò, dopo tanto fumo sparso tra la folla per l’umidità della legna, iniziava a scintillare e gli anziani dicevano che quando la fiamma bruciava a luce piena, si avverava per ognuno quello che desiderava o la grazia chiesta al Santo. Un augurio che bastava a strappare un sorriso e a sperare in un domani migliore. La legna si consumava lentamente e tanti carboni roventi si ammassavano ai piedi della fòc’ra; qualcuno si avvicinava con “nna coffa e nna paletta” per prendere il fuoco santo e portarlo a casa, così potevano riscaldarsi gli anziani parenti impossibilitati a camminare. Una pira che diventava presto un accumulo di tizzoni roventi e cenere, ma durante la notte e il giorno della festa qualcuno provvedeva ad alimentarla con legna secca affinchè tanti devoti scalzi potessero scaldarsi dopo le cinque ore di processione. Al passaggio della statua vicino alla fòc’ra alcuni spari di “botti” anticipavano quelli che sarebbero stati nella serata, al termine della processione. In passato tutto il popolo si riuniva attorno alla fòc’ra ed era una consuetudine darsi l’appuntamento con la tipica espressione «A lla fòc’ra nni vitìmu!».
Con la demolizione dei due oratori in piazza Regina Margherita nell’800, la fòc’ra (pira o falò) divenne uno dei momenti più salienti dell’intera festa di S. Ciro che insieme alle traslazioni, novena, processione e fuochi pirotecnici hanno alimentato nel corso dei secoli la grande devozione per il santo che guarisce i corpi ma principalmente le anime. Una pira itinerante da oltre cento anni che, per motivi di spazio e sicurezza, ha seguìto l’evoluzione urbanistica della città. Da Piazza Regina Margherita fu spostata a fuori porta (oggi Monumento ai Caduti), poi alle spalle dell’ex Consorzio Agrario (oggi Via Marseglia), successivamente per qualche anno in Piazza Vittorio Veneto, davanti alla Pretura (oggi Chiesa Madonna delle Grazie), per passare nella zona S. Elia (estremo di Via Campitelli). Dalla zona S. Elia passò a Piazza Verdi, poi su Viale De Gasperi. Ritornò nella zona est su Viale Gaspare Pignatelli sopra l’ospedale.
Dipinto di Ciro Occhibianco
La pira in Piazza Vittorio Veneto, davanti alla vecchia Pretura, oggi Chiesa Madonna delle Grazie
La costruzione di Piazza S. Ciro con il busto del santo negli anni ’80 fece nascere una seconda pira che per diversi anni venne mantenuta tra dissapori e polemiche. Alla fine ne restò solo una, quella di Piazza S. Ciro, che nel corso del 2000 si spostò di qualche metro nell’area ancora non urbanizzata. Ma nel 2011, iniziata l’urbanizzazione di quell’area, la pira doveva essere costruita in altra zona più idonea. La zona 167 di Viale Gramsci la ospitò dal 2012 al 2015, vicino ad un altro monumento ceramico in nicchia, dedicato al santo alessandrino, dell’artista Petraroli. Nel 2016 la pira viene ulteriormente spostata nella zona 167 bis vicino alla superstrada Taranto-Brindisi, collocazione che ancora oggi mantiene. E’ bene ricordare che tante generazioni hanno vissuto puntualmente questa emozione di fede che di anno in anno i presenti hanno trasmesso a tanti grottagliesi sparsi nel mondo con le tecnologie comunicative del tempo. La fòc’ra come le processioni, fuochi, manifestazioni, etc.sonouna sana tradizione che non può essere cancellata e nemmeno stravolta dall’attuale “società d’immagine” in quanto festa intima e di preghiera. La devozione verso un santo è tra gli aspetti di vita cristiana che trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede. Mi auguro che attraverso queste brevi e incisive riflessioni si possa rendere conto come la fede sia entrata nel cuore dei nostri antenati, del come sia diventata parte dei nostri sentimenti, delle nostre abitudini e del nostro comune sentire e vivere. Una devozione lasciata in eredità ai grottagliesi dal santo concittadino Francesco de Geronimo, che nei suoi quarant’anni di apostolato napoletano lo chiamava “campione della fede”. Nell’ultimo decennio questa devozione viene offuscata da una eccessiva messa in atto di manifestazioni esterne che non conducono ad una religiosità essenziale ma solo esteriorità e illusorio appagamento dell’ego. Proiettiamoci al futuro con lo stesso sentimento e la stessa emozione di fede della poesia di Padre Michele Ignazio D’Amuri, gesuita e poeta grottagliese, dal titolo: “La fòc’ra” – A rricuérdu t’lu martiriu ca patìu santu Ggiru quann’arrìa la festa granne, lu devotu vurtagghhjése, cu traìni e trainédde, porta lioni pi lla fòc’ra., trunchi t’avr’ri scappati, stroòme, muzzi t’aschiddèe, mazzi ti sopraccavaddi; ognitunu porta ncuéddu gruéssi sciarcini ti spròia, saramiénti e nache a stòzzi. Tuttu po’, comu si zzimpa nnu pagghiaru, si situèscia, cu lli fronni fòri fòri; ccussì s’oza mmién’la chiazza la catasta ti la fòc’ra, ca po’ vestunu ti stròme. S’oza iérta, s’òza nciélu, totta verde e ttotta argiéntu pi lli fronni ti l’alìi. A lla sera t’la fiscilia, sobbra mettunu curcata la figura ti lu santu. Si rricòrda ccussì, quanna misu fòe ncima a lla fòc’ra pi ll’amore t’lu Signore. Mò la ppìcciunu: la fòc’ra pigghia fuécu a picca a picca; fumicannu, pigghia fuécu; e lu populu devotu luccla: “Viva santu Ggiru! Viva santu ggiru nuésciu!” Scattarèsciunu li fronne ti l’alìii, e, cu llu fumu, li faciddi vonu nciélu. L’uécchj splénnunu, e la faccia unu sente còta còta, pi ll’ondate ti li vampe. Oh, ce luce! Ce calore! Veramente éte fuécu bellu, robustoso e forte. Quanna po’ la fòc’ra cade, vene gente, ca priannu, porta a casa nnu craòne, e, dicennu gloria patri, lu craòne biniditto mette mmienz’a lla fracéra».
More Stories
FOTO.SAN CIRO DI GIUSEPPE DONATELLI.
FOTO .VINCENZO ORLANDO…”TRA FEDE E TRADIZIONE “
“LA FESTA È PASSATA E ALLORA MI SIA CONCESSO DIRE LA MIA”.