ARCIDIOCESI DI TARANTO 16 APRILE 2025
intratteniamoci con la Parola di Dio per poter vivere con sinceri frutti di conversione e di speranza la Santa Pasqua che ci apprestiamo a celebrare.
«Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli» (Mt 26,18). È una volontà precisa quella di Nostro Signore cioè di voler celebrare, in un posto da lui scelto, la sua Pasqua, ovvero l’inaugurazione in sé stesso, nella sua passione, croce e risurrezione, di quella via di liberazione che sancisce la fine del potere del peccato e della morte.
Con i segni dell’alleanza della pasqua ebraica, Gesù vuole celebrare una cena diversa. È importante cogliere questa sua volontà. Perché prima che si scatenino l’odio e l’impero delle tenebre, arde in Lui il desiderio di rimanere con i suoi in un contesto di amicizia, di intimità, di normalità.
Così anche oggi in questo stabilimento dobbiamo accogliere il suo desiderio ardente di farci accomodare intorno alla mensa eucaristica per condividere la Buona Notizia e il Pane che ci offre, ovvero il sostentamento per trasmettere agli uomini e alle donne di questo tempo il Vangelo.
La normalità della condivisione, anzi l’umanità della comunione, è fondamentale per ristabilire l’ordine della nostra vita, le priorità, i nostri limiti, le nostre povertà, ma anche il bisogno di salvezza che viene da Gesù solo. È sintomatico come il contesto dell’ultima cena sia accompagnato, nel Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato, dalla questione della taglia stabilita per la consegna del Signore e dal tradimento di Giuda. Sono elementi che inizialmente sembrano offuscare la gioia del convito. I vangeli non rinunciano nella narrazione a questo particolare. Sarà per sempre la notte del tradimento e dell’amore che si offre.
Gesù e Giuda nello stesso piatto intingono il boccone, ma con animo evidentemente diverso. Altro gesto che la storia ricorderà come emblematico del tradimento sarà il bacio nel Getsemani al momento dell’arresto (Cf. Mt 26, 49). Sono dettagli delle ultime ore del Signore che rimangono impresse nella mente del credente, ma che non devono eclissare anzi devono illuminare la tenacia della fedeltà di Gesù al suo amore per noi.
Come facciamo oggi, qui ed ora, ad essere illuminati, a nostra volta, da questo amore tutto eucaristico?
Ho pensato tanto alle parole che avrei pronunciato oggi davanti a voi. Ho pensato a come non essere retorico, scontato.
Nessuna delle vertenze degli ultimi anni può dirsi risolta, restano tutte vivide le emergenze che preoccupano voi operai e la città tutta. A tutto questo si aggiungono la preoccupazione e le incertezze del contesto internazionale. A livello mondiale si parla di “guerra commerciale”. Così viene mostrato il volto vero del dio denaro che muove i fili di ogni conflitto e di ogni problema (Cf Lc 16,13). Alla profonda sfiducia si aggiunge un senso di impotenza e rassegnazione perché il mondo va in questa direzione.
Come possiamo nutrire speranza contro ogni speranza puntualmente frustrata e delusa?
Se rimaniamo nel contesto dell’ultima cena probabilmente potremmo cogliere il metodo di Gesù di fronte all’inadeguatezza, all’incoerenza, all’insufficienza di amore degli uomini.
Nell’Ultima Cena Egli compie gesti, e i suoi discorsi sono ancorati fortemente all’offerta irrevocabile di sé. Non ci sono discorsi morali. D’altronde qui non ne avremmo bisogno. Tutto ciò che attiene alla questione industriale tarantina non è più questione di conoscenza né di coscienza. Sappiamo ormai tutto. Tutte le vicende umane che non riescono a risolversi, che sembrano non avere via d’uscita, mancano di un atto di superamento dettato dall’amore.
Nel capitolo tredicesimo del Vangelo di Giovanni entriamo nel cenacolo accolti da un segno che solo il quarto evangelista riporta. Lo rivedremo domani in tutte le nostre parrocchie. Gesù si china a lavare i piedi agli apostoli. Vorrei che ci concentrassimo sulle parole esplicative del Signore che seguono la lavanda dei piedi. Egli si riveste degli abiti che aveva deposto, dopo essersi attrezzato con grembiule, catino e brocca. Si riveste della sua autorità tornando a sedere, potemmo dire, in cattedra. Poi sembra interrogare i suoi discepoli: «Come mi chiamate? Mi chiamate Maestro e Signore? Dite bene. Sono Maestro e Signore. Se proprio io che sono il Maestro e il Signore ho fatto tutto ciò, anche voi dovete farlo» (vv. 12-14). Se il Signore adesso dovesse darci una soluzione comincerebbe da qui. Chinandosi e mettendosi a servizio.
Tutti conosciamo la situazione sanitaria così come la precarietà dei lavoratori. Chissà però se ci siamo chinati per guardare dal basso loro, gli ammalati, questa città, con lo spirito di chi serve per amore. Ci siamo piegati a servizio sincero degli ammalati, degli operai e delle famiglie? So bene che l’esempio dato da Cristo è bruciante per tutti a partire da coloro che hanno responsabilità, ma è un gesto che Egli compie verso ciascuno di noi e che ci renderà autentici quando crederemo necessario ripeterlo fra noi. Nel Regno di Dio il più grande è il servo di tutti! (Cf. Mc 10, 43-44).
Se siamo credenti, se siamo discepoli di Cristo, dobbiamo piegarci per servire i più deboli; allora sì che le parole e gli intenti, si invereranno. Allora sì che la debolezza, l’infedeltà degli apostoli, il tradimento di Giuda non oscureranno il futuro, ma saranno inghiottiti dalla luce.
È con questo spirito che insieme a voi, cari amici di Acciaierie di Italia, mi appello a chi ha il compito e il dovere di agire affinché voi possiate ritrovare serenità, che la Città tutta possa intravedere un orizzonte limpido. Tutto deve partire da questo segno di amore dal più potente al più piccolo. E poi potremo fare Pasqua, poi sicuramente daremo a questa celebrazione annuale la possibilità di essere feconda e portatrice di guarigione.
Buona Pasqua a tutti!
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