3/20.SPECIALE UVA NOSCIA IL SISTEMA RURALE DELLE MASSERIE DEL MERIDIONE:LA DOGANA ARAGONESE ED IL PAESAGGIO SOCIALE DAL XVI -XVII SEC. (PARTE 3/20).

La protezione dei contadini è dei loro averi ricadevano sotto la protezione del sovrano, così come allo stesso modo, con una altra serie di disposizioni, si cercava di riportare sotto il dominio e controllo dello Stato “ omnia memora et pascua sunta Curiae” , i boschi ed i pascoli, cioè due fra i maggiori pilastri dell’economia rurale, e due fra i due momenti di quella economia in cui più stridenti si facevano le contraddizioni sociali.

La ricostruzione del regio demanio, il recupero delle proprietà usurpate alle genti rurali procedettero di pari passo con l’affermarsi di una politica in cui lo Stato veniva proposto come agente economico attivo e privilegiato. Così si susseguirono nel tempo la creazione di monopoli e tasse, così da sovrapporre all’esistente sistema economico, un collaudato sistema di procacciamento di entrate fiscali nelle casse statali.

E appunto in questa sovrapposizione e quindi subordinazione della macchina produttiva alla e necessità fiscali e redditiere la chiave di lettura degli interventi di Federico nel settore agropastorale. Tali provvedimenti, presi singolarmente erano senza dubbio di rilevante interesse, ma visti nel complesso dell’economia rurale, essi crearono diversi scompensi ed abusi. Ad esempio, nelle contrade si assisteva ad ingiuste estorsioni e gravissimi soprusi commessi dai “forestieri” ( cioè quei funzionari preposti alla sovrintendenza sulle foreste e relativi pascoli), infatti essi accumulavano ingenti somme e proprietà a danno di pastori e contadini, stabilendo tasse e diritti non riconosciute dal regno, che però dettero la possibilità a questi di accantonare tali e tanta proprietà da divenire veri e propri baroni.

Al periodo di dominio di Federico Ii, dopo varie vicissitudini belliche, nel 1266 vi succede, con l’appoggio ecclesiale, Carlo D’Angiò, il quale non portò radicali stravolgimenti nell’economia rurale pugliese, nonostante ci fossero stati diversi tentativi, ad egli succedette il figlio, il quale ereditò dal padre una situazione feudale, formatasi e consolidatasi durante il regno del padre, tra cui lo spropositato possedere degli enti e cariche ecclesiastiche.

Fu questo il periodo in cui sia principi che baroni ampliarono spropositamente  i loro, possessi, e ad essi si unirono ricchi banchieri provenienti dal nord, quali  i fiorentini, e banchieri che prestavano forti somme di denaro al regno. Furono proprio questi prestiti, che permisero a molti stranieri di arricchirsi con il commercio dei beni agricoli prodotti nella Puglia, infatti essi come altri godevano di particolari privilegi tra cui, quella di essere esonerati dal pagamento della dogana di passaggio, e tutto ciò oltre a permettere  vari soprusi, permise la crisi del sistema rurale e l’impadronirsi di estesi possedimenti che divennero ragione di soprusi a danni delle genti rurali.

Oltre a questi fenomeni, ciò che contribuì a mettere in ginocchio il sistema agricolo pugliese, fu il succedersi dal 1270, e sin alla fine del 1400 di continue carestie, peste, lebbra, terremoti, che ridussero la produzione di frumento. La fame e le varie scorrerie, tra cui si inserisce il fenomeno del brigantaggio (abbiamo raccontato del prete brigante  papa ggiru alias Ciro Annicchiarico ), che contribuirono all’abbandono delle contrade da parte dei contadini, verso le più sicure entità urbane, tale esodo fu’ molto sostenuto proprio nel tarantino. Tali casali, e tali villaggi hanno la loro formazione attorno a X sec.,

ed in misura accentuata nei secoli seguenti, nella tipologia insediativa della regione la forma più tipica del popolamento rurale era stata quella del villaggio fortificato. Nell’età dell’incastellamento che fu’ accelerato dalla presenza dei Normanni, intorno e a partire dal CASTRUM ebbe luogo la conquista delle terre incolte, e della presenza delle fortificazioni furono contrassegnate  e definite le stesse località urbane. Ma un compito importante nelle vicende del popolamento rurale fu svolto dal  VILLAGGIO RUPESTRE E DEL CASALE ovvero, dal quel piccolo nucleo economico,

 composto da più fondi di natura e coltura diversa, situati nella medesima località, con le loro pertinenze con una o più case e con le fabbriche, o edifici necessari all’azienda rurale, assegnate ad una o più famiglie di coltivatori. In un paesaggio rurale dominato da ampi spazi vuoti e lasciati al pascolo, spontanea vegetazione, distese boschive, il villaggio con la sua torre spesso con la cinta muraria ma anche il villaggio aperto non fortificato, avevano  progressivamente realizzato una fascia di coltivazione intensiva di orti, di vigneti.

Collegati alla configurazione naturale del terreno come nel caso dell’insediamenti rupestri, o situati in punti strategici-militari, o ancora sviluppatosi intorno ad una chiesa “GRANGIA MONASTERIALE”,( vedasi masseria della Mutata in Grottaglie ), i villaggi avevano rappresentato isole

colturali in un rapporto di equilibrio con il nucleo urbano più vicino. Tale sistema e ben vicino, e facilmente correlabile, in quanto esso casali, villaggi, rappresentano il progredire delle “MASSAE”, alle masserie , che analizzate singolarmente, è possibile riscontrare le caratteristiche tipologiche sopra evidenziate in masserie del tarantino, ad esempio:

-masseria Vicentino e masseria Misicuro (stazione viaria sulla via Appia), rappresentano un esempio di ubicazione in un punto strategico militare, ubicata sull’asse della vecchia Appia tra Taranto ed Oria.

-Ovile Riggio,( in agro di Grottaglie-nei pressi della casa fortezza di cui abbiamo raccontato in precedenza), ubicata in insediamenti rupestri, data la sua particolare posizione in riferimento all’orografia del terreno, doveva risultare strategico, rapportandolo all’organizzazione della produzione agricola; lo stesso si può affermare della masseria Bucito.

Tale sistema nel Duecento  venne modificato sostanzialmente, a favore della città, sede dell’autorità politica ed ecclesiale e luogo privilegiato di scambi commerciali. Il flusso di immigrazioni dai villaggi rurali nei centri urbani, che andò sempre più intensificandosi tra i secoli XIII e XIV, non può essere spiegato soltanto  come frutto di una mobilità demografica motivata dall’insicurezza delle campagne. I casali si spopolarono e i campi coltivati furono abbandonati specialmente lì dove gli improvvisi e ripetuti cali dei prezzi e delle  rese dei prodotti principali, grano sopra tutto, si tradussero o nella rovina dei piccoli proprietari terrieri, degli enfiteusi, dei titolari dei contratti di miglioria  e delle cessioni vitalizie.

D’altro canto, quando l’autorità del potere centrale si fece più limitata, non per questo migliorarono le condizioni e le prospettive degli insediamenti rurali; l’accentramento dell’età sveva ed angioina aveva potuto almeno consentire di reprimere l’abbandono delle campagne.

Un potere centrale sempre più debole come fu’ quello del XVI sec., invece, consentì alle incontrollabili forze del particolarismo feudale di impossessarsi di numerosi villaggi, di chiudere i pascoli e i boschi usati collettivamente e le

stesse terre del demanio regio; il massimo del particolarismo si ebbe proprio con il regno di Giovanna I e Giovanna II, e di Renato d’Angiò, quando il beneficio feudale da concessione revocabile, a carattere giurisdizionale, venne trasformato in bene ereditario posseduto a titolo di dominio.

Da tali privilegi e possedimenti i signori feudali, e non, dovettero cercare di trarre il più possibile, e più traevano e più l’accecamento dell’avere li spingeva ad occupare, sottraendole al regio demanio o alle proprietà ecclesiastiche, terre che essi privatizzavano, e chiudevano destinandoli a coltura o pascolo e li fittavano a canoni altissimi.

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