“SAN FRANCESCO DE GERONIMO.ATTUALITA’ DI UN APOSTOLO DELLA MISERICORDIA”. PAPA FRANCESCO DICE CHE” IL PRETE NON DEVE STARE CHIUSO IN CASA O NELLA CHIESA, MA DEVE ESSERE CALLEJERO” (PADRE FEDERICO LOMBARDI S.I )
Gli ultimi due appuntamenti con il nostro speciale su “San Francesco de Geronimo. Attualità di un apostolo della misericordia” con Padre Federico Lombardi S.I., presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e già direttore della sala stampa della città del Vaticano, e dal 1984 al 1990 Superiore Provinciale della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù e 2001 al 2013 ha diretto il Centro Televisivo Vaticano (Ctv), e direttore della Radio Vaticana dal 2005 al 2016.
Un sentito ringraziamento ha chi ha consentito il contributo di Padre Federico Lombardi, nella persona di Carmela Galiandro (grottagliese) componente della famiglia del Papa Emerito Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e mia moglie Giuseppina De Summa.
“Nel pomeriggio dell’11 maggio del 1716 la grande chiesa del Gesù Nuovo di Napoli veniva invasa tumultuosamente dal popolo, che accorreva per vedere e venerare le spoglie di un uomo amatissimo e comunemente considerato come santo. Il Padre Francesco de Geronimo era mancato a quasi 74 anni di età, consumato dalla fatica del suo apostolato e dal rigore del suo stile di vita, nella sua stanzetta austera, da cui si accedeva facilmente alla strada,
accompagnato dalla preghiera dei suoi confratelli. Il Superiore era preoccupato: il Padre Francesco era talmente amato dal popolo che la notizia della sua morte avrebbe certamente richiamato una grande folla di devoti, desiderosi di vederlo ancora una volta e di effondere i loro intensi sentimenti di affetto, gratitudine e venerazione per il loro padre spirituale. Perciò il Superiore chiamò in aiuto la forza pubblica per poter controllare la situazione, e la salma fu esposta dietro la solida cancellata della Cappella della Trinità, in modo da essere visibile ma protetta. Quello che però non fu possibile proteggere fu il confessionale dove il padre Francesco aveva trascorso innumerevoli ore di ascolto paziente dei penitenti, per amministrare loro il sacramento del perdono e della sconfinata misericordia di Dio. La gente accorsa fece rapidamente e letteralmente a pezzi il confessionale per portarne via i frammenti di legno come reliquie.
San Francesco de Geronimo era nato a Grottaglie nel 1642, era entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù nel 1670, già sacerdote, e aveva svolto tre anni di ministero sacerdotale a Lecce, ma dal 1674 alla morte lavorerà a Napoli per oltre 40 anni nelle missioni popolari abitando nella comunità del
Gesù Nuovo. E’ giusto, anche dopo più di tre secoli, continuare a ringraziare il Signore per la sua testimonianza e meditare sul dono del fiume di grazia che attraverso di lui si è riversato da quella chiesa nelle strade e nella piazze intorno ad essa e in tutta Napoli e nel suo Regno di allora.
Ricordiamo solo alcuni aspetti principali della vita del Padre Francesco.
Lo ricordiamo come un grande missionario. Un missionario non nell’Oriente, come aveva sognato di essere sulle orme di Francesco Saverio e di tanti altri suoi confratelli gesuiti, ma egualmente missionario, portatore instancabile della parola e del conforto del Signore, nella grande città di Napoli, la più grande e popolosa dell’Italia del suo tempo, ma profondamente segnata da tante forme di povertà materiale e morale.
Missionario. Sappiamo bene come Papa Francesco invita la Chiesa tutta ad essere sempre “in uscita”, cioè a non chiudersi in se stessa, ma a mescolarsi con il popolo per le strade del mondo, e ad accompagnare questo popolo nelle sue gioie e nelle sue speranze, nei suoi dolori e nelle sue angosce. Papa Francesco dice che il prete non deve stare chiuso in casa o nella chiesa, ma deve essere callejero, stare sulla strada e camminare sulla calle, sulla strada. Francesco de Geronimo è stato praticamente per 40 anni tutti i giorni sulla strada. Tanti grandi missionari gesuiti e di altri ordini religiosi sono stati per anni sulle strade del mondo, in Oriente, in Europa, nelle Americhe, hanno percorso itinerari incredibilmente difficili e avventurosi per portare la parola di Dio in terre lontane, a popoli che ancora non la conoscevano.
Padre Francesco de Geronimo non ha camminato e faticato meno di loro, ma lo ha fatto per 40 anni sulle stesse strade, nella città di Napoli, visitandone ogni angolo e ogni anfratto, dove il bisogno dei corpi e delle anime chiamava il suo servizio, il suo ardore apostolico.
Padre Francesco ha chiesto ai suoi Superiori di alloggiare non nel centro della casa della sua comunità religiosa, ma in una piccola stanza più vicina alla strada – una specie di sottoscala -, per poter uscire più facilmente, per poter rispondere anche di notte alle chiamate dei malati, dei morenti, delle persone in difficoltà che lo cercavano.
Quarant’anni per le stesse strade e le stesse piazze! Quale amore paziente e perseverante! Quale conoscenza dei luoghi e delle situazioni, quale passione intensa per il bene, la salvezza, la redenzione di ogni persona del popolo napoletano: grandi e piccoli, uomini e donne, malati e sani, poveri e meno poveri…!
La bella statua del Santo (opera dello scultore Jerace) che si trova nella chiesa del Gesù Nuovo esprime bene la sua attenzione per le diverse necessità del popolo: attorno a lui, protetti dalla sua cura e dal suo affetto, vediamo una donna penitente, un ragazzo, un’orfana, un galeotto…ma quante altre figure si potrebbero aggiungere !
Papa Francesco ci dice di essere attenti alle “periferie” sociali ed esistenziali, a chi viene spinto ai margini della vita sociale e come “scartato” da essa. I deboli, le persone socialmente disprezzate o segnate dalle conseguenze delle colpe proprie o di altri, diventano vittime di quella che Papa Francesco
chiama la “cultura dello scarto”: si scartano i poveri, i malati, le persone deboli per handicap fisici o mentali, gli anziani, le vittime del traffico umano e della prostituzione, le persone che hanno sbagliato, i carcerati o gli ex-carcerati, perfino i bambini che sembrano di peso o di ostacolo al benessere sociale o al proprio comodo. Francesco de Geronimo sta in mezzo a tutta questa gente, povero fra i poveri, ma li riconosce come persone; quando sono malati o morenti li assiste in ginocchio perché – come dice Papa Francesco – riconosce in loro “la carne sofferente di Cristo”; legge nei loro occhi e nel loro cuore una dignità, a volte negata, a volte nascosta; li cerca e se ne prende cura, con la carità e con l’aiuto concreto che gli è possibile dare. Certamente non è un riformatore sociale, ma quante persone concrete – malati e poveri – trovano un sollievo materiale e un conforto spirituale, quante donne vittime della prostituzione possono grazie a lui e alle
sue iniziative farsi una nuova vita e anche una famiglia. Se anche non è un riformatore sociale, certamente è qualcuno che si fa carico efficacemente di elevare la dignità umana e cristiana degli strati più poveri della società napoletana della sua epoca.
Nel contesto del tempo è un grande testimone di quella misericordia operosa, di quelle opere di misericordia, che Papa Francesco non si stanca di additarci come realizzazione concreta della solidarietà, come continuazione e manifestazione incarnata della misericordia di Dio attraverso la nostra vita, una volta che abbiamo imparato da Dio stesso che cos’è la misericordia: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, visitare gli ammalati, visitare i carcerati…
Ma la povertà non è solo del corpo, è anche dell’anima, dello spirito. Spesso ce ne dimentichiamo, ma le opere di misericordia spirituali non sono meno importanti e urgenti di quelle corporali: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti”.
Francesco de Geronimo è instancabile nell’insegnare il catechismo ai fanciulli e agli ignoranti nei fondaci e nei quartieri; nel predicare, esortare, ammonire con forza per portare alla conversione e all’incontro con Cristo. Si dice che arrivasse a predicare nelle strade e nelle piazze fino a 40 volte al giorno, a predicare per tre o quattro ore. Incredibile! Un’energia appassionata, instancabile e quasi miracolosa. E anche coraggiosa, perché il suo impegno non è affatto sempre gradito a tutti.
Famoso l’episodio del saltimbanco che in Piazza del Castello, pieno d’ira perché la predicazione del padre danneggia il suo spettacolo, sale sulla scala dalla quale Padre Francesco sta predicando e lo butta giù. E quando la folla minaccia l’energumeno, Francesco si dà da fare per acquetarla, e poi si inginocchia davanti all’uomo e gli chiede perdono, nel caso che lo avesse irritato e offeso senza volerlo. E quando poi il giudice vuole condannare il saltimbanco per la sua violenza, Francesco si rivolge al giudice così: “Mi butto ai piedi suoi, a farmi grazia di ordinare la sua scarcerazione e perdonargli l’audacia… che del resto come Dio è misericordioso con i peccatori veramente penitenti, così dovremo ancor noi imitare la sua misericordia; e io perdono questo povero uomo e me lo stringo nel cuore come mio padrone o fratello”. Lo spirito e il carattere della predicazione del Padre Francesco sono improntati all’impegno e alla vigilanza: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito…e se giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba li troverà così, beati loro!” (Lc 12, 35-40). Un richiamo forte
alla responsabilità della coscienza, alla serietà della questione della salvezza della propria anima e di quella degli altri. Una sfida coraggiosa alla pigrizia spirituale, all’essere cristiani all’”acqua di rose”, come dice Papa Francesco, al pensare che la misericordia di Dio guardi con totale indulgenza ad ogni comportamento, e ci conduca così a una vita in cui non c’è più distinzione fra bene e male, fra strada della vita e strada della perdizione.
Francesco è instancabile, perché la salvezza vera ed eterna di ognuno, anche della persona più umile, è una cosa seria e gli importa per davvero. Ricordarsi che ognuno di noi renderà conto a Dio quando lo incontrerà alla fine della propria vita, non è un pensiero oscurantista e malsano, e anche se oggi non meditiamo più davanti a un teschio, come si faceva allora, la sostanza è poi in fondo la stessa, perché dobbiamo saper stare di fronte alla pura verità ultima su noi stessi, che è appunto il nostro incontro finale con Dio. Francesco brandisce il crocifisso e lo tiene in alto. Ricordiamo la testimonianza di San Paolo: “Fratelli, quando venni fra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza.
Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e Cristo crocifisso!” (1 Cor 2, 1-7).
Il Crocifisso! Il Crocifisso Risorto! L’unica parola di vera consolazione e speranza per la sofferenza sconfinata del mondo, per i poveri di Napoli come per quelli di ogni angolo della Terra. Il Crocifisso è colui che muore per me e per i miei peccati, di fronte a cui matura in profondità il dolore che giunge alle lacrime e alla conversione del cuore, fino all’esperienza del perdono; colui di fronte a cui scocca alla fine la scintilla del colloquio di misericordia, che dalle lacrime porta alla gioia e al desiderio della vita rinnovata.
E allora Francesco dalla strada rientra nella chiesa e prende posto nel suo confessionale ad ascoltare e consolare per ore e ore chi viene a chiedere conforto e perdono. E ci sono confessioni ordinarie, ma ci sono anche vere e proprie conversioni profonde e stabili di vita. Numerosissime. Si dice che i Superiori avessero chiesto a Francesco di tener nota delle vere conversioni. Dai numeri annotati nei documenti storici risulta che ve ne era praticamente
in media una ogni giorno. Incontrare e accompagnare almeno una persona al giorno a cambiare vita davvero! Ma quale fiume di grazia, quale potenza dello Spirito passa attraverso quest’uomo, in particolare nel suo confessionale nella chiesa del Gesù! Capiamo bene perché il giorno della sua morte questo confessionale venga fatto a pezzi a furor di popolo perché ciascuno possa portarsene con sé un pezzettino! Lo avremmo fatto anche tutti noi!
Papa Francesco ha voluto che all’inizio della quaresima dell’anno santo della Misericordia, venissero a Roma i corpi di Padre Pio e di Padre Leopoldo Mandic, i due più famosi confessori santi dei nostri tempi, per ricordarci che la Misericordia di Dio passa in modo particolarmente intenso ed efficace tramite il sacramento della riconciliazione. Il messaggio di Francesco de Geronimo non era da meno, con la differenza che Pio e Leopoldo stavano sempre dentro il confessionale, mentre Francesco andava a predicare per le strade e così attirava innumerevoli penitenti al confessionale.
E la terza Domenica di ogni mese tutti erano invitati da Padre Francesco a recarsi al Gesù, non solo per assediare i confessionali dei padri, ma per ascoltare la parola di Dio e fare la Comunione, a gruppi, ininterrottamente per tutta la giornata; oltre 10.000 persone, talvolta fino a 20.000….
E’ il nutrimento della vita convertita al Signore, della vita rinnovata nella sua dignità umana e spirituale, e capace di crescere nella santità. La vita riconciliata, in cui si depongono gli odi, in cui si offrono vicino all’altare come ex voto i pugnali con cui allora si voleva vendicare ed uccidere: pugnali di
ferro, ma forse ancor più spesso i pugnali delle parole insidiose o violente, seminatrici di discordia, che danno invece spazio alle parole e ai sentimenti di pace, di solidarietà, di misericordia, in tutte le direzioni e le dimensioni della vita.E così, anche oggi San Francesco de Geronimo ci accompagna ad uscire non solo per le vie di Napoli, ma per tutte le strade del suo e del nostro tempo, a incontrare la povertà materiale, morale e spirituale.
Ci spinge verso le periferie sociali ed esistenziali, non solo quelle che c’erano allora, ma anche quelle che ci sono nel mondo di oggi, in dimensioni forse anche assai più grandi e non meno drammatiche.
Vediamo e ammiriamo la sua testimonianza molteplice e infaticabile di misericordia operosa e ne restiamo conquistati.
Lo ascoltiamo ammonirci sulla serietà del trovare o del perdere la via della vita, e facciamo il nostro esame di coscienza di fronte alla gravità delle domande ultime sul senso della nostra vita.
Sentiamo riecheggiare il suo appassionato invito a guardare al Crocifisso per trovare appunto la via della vita, e infine torniamo davanti all’altare, dove lui ha sempre invitato il suo popolo a tornare, per incontrare nella gioia il Signore Risorto e nutrirci al suo corpo e al suo sangue lungo il cammino.
Per il suo esempio e la sua intercessione, chiediamo di essere anche noi testimoni e apostoli di misericordia materiale e spirituale, sociale e civile, per la redenzione del popolo delle nostre città, delle nostre regioni, del nostro Paese e fino ai confini del mondo.
Biografia
Padre Federico Lombardi nasce a Saluzzo (in provincia di Cuneo) il 29 agosto 1942. Compie la propria formazione scolastica a Torino presso l’Istituto “Sociale” dei Padri Gesuiti. A 6 anni e mezzo vive la tragedia di Superga, l’incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949 quando, alle ore 17:03, l’aereo con a bordo l’intera squadra del Grande Torino e tre giornalisti si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese, a causa della fitta nebbia che impediva la visibilità. Le vittime del disastro furono 31. “Mi ricordo che era un giorno con un tempo pessimo, era pomeriggio e si diffuse come un lampo questa notizia drammatica”, racconterà padre Lombardi su Vatican News per i 70 anni dalla tragedia. “La costernazione della città – racconta – si mescolò rapidamente all’incredulità anche perché si pensava che la squadra del Torino calcio fosse invincibile”. Nel 1960, appena maggiorenne, entra nel noviziato della Provincia Torinese della Compagnia di Gesù ad Avigliana. Dopo gli studi filosofici presso la Facoltà filosofica “Aloisianum” dei Gesuiti a Gallarate (Varese), conclusi con la Licenza in Filosofia, dal 1965 al 1969 è assistente degli studenti del Collegio Universitario diretto dai Gesuiti a Torino; presso l’Università del capoluogo piemontese nel 1969 consegue la laurea in matematica. Nel 1972 è ordinato sacerdote e l’anno successivo consegue la licenza in Teologia presso la Facoltà teologica della Hochshule St Georgen dei Gesuiti a Frankfurt am Main, in Germania. Membro del Collegio degli Scrittori della “Civiltà Cattolica” dal 1973, nel 1977 padre Lombardi diviene vicedirettore della rivista. Nel 1984 è nominato Superiore Provinciale della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù; incarico che manterrà fino al 1990. Dal 2001 al 2013 padre Lombardi è anche direttore generale del Centro Televisivo Vaticano (Ctv), e direttore della Radio Vaticana dal 2005 al 2016. L’11 luglio 2006 Papa Benedetto XVI lo nomina direttore della Sala Stampa della Santa Sede in sostituzione di Joaquín Navarro-Valls, incarico che mantiene sino al 31 luglio 2016. Il 1º agosto 2016, con lettera del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, è nominato presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI.
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