…LA BEFANA IL CLOU PER NOI RAGAZZINI.

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di Mario Petraroli

Ritorna con noi Mario Petraroli, che per la festività della Befana ha voluto proporci uno dei suoi tanti lavori, lo abbiamo ospitato, ricorderete, lo scorso mese di Luglio con il racconto dello sbarco sulla luna visto da un giovane ragazzo Allora Mario, portaci con te nel tempo del recente passato…..

Quando arrivavano le festività natalizie, era la Befana il clou per noi ragazzini.

E si, quello era il giorno tanto atteso, arrivavano i regali tlà befana, mentre a Natale c’era la letterina di Natale ove facevamo “ogn’anno” promesse si essere buoni e bravi, ma era la Befana la spedizioniera. In quei giorni, noi ragazzini smaniavamo davanti le vetrine dei Grandi Magazzini Stella in via G. Battista, era il luogo incantato. Se durante tutto l’anno erano i magazzini ove si trovava ogni cosa, vestiti, pentole, cose per la casa, per le festività natalizie, si trasformava, si riempiva di luci intermittenti, decorazioni di ofni genere, alberi di Natale, presepi e tutto l’occorrente per poterselo fare a casa, e poi i giocattoli in bella vista, di ogni tipo, pi li maschele e pi li femmene, insomma  stavamo lì quasi tutte quelle sere di festa, sognavamo, speravamo che la Befana ci portasse quel trenino, quella pistola culli caps, le prime piste delle macchinine… mentre il perenne profumo di cose buone della pasticceria Tlù Biondo che era proprio di fronte al grande negozio di Stella rendeva quell’angolo di Grottaglie, un posto ripeto fatato ed era bello vedere noi vagnune ti Via Corrado Mastropaolo, incontrarci culle banne di basciu li cunzature, o quire cchiù pericolose ti la matonna tlù lume, I grandi magazzini Stella era una zona franca, nessuno avrebbe attaccato “guerra”, anzi, era l’occasione per scambiarci qualche parola, ma mai guerra.

Che poi la guerra era una serie di spintoni, qualche lotta, o incontri di pallone, culle fionde a ci tinea lu curaggiu cu scasciava li vitrine ti casa tlì cristiane, di quest’ultima sfida ricordo accadde molto raramente, anzi davanti quelle sfide, noi “teelaaa” ce ne tornavamo al sicuro in Via Corrado Mastropaolo. Noi ragazzini eravamo l’anima di quella via, e non iniziava o finiva con un numero civico, erano le case delle persone il nostro riferimento. La via iniziava, con la Signorina Urselli e finiva con la sartoria di Mestu Peppu lu cusitore, in mezzo tutta una serie di persone, botteghe, personaggi insomma ci conoscevamo tutti e tutti ci conoscevano. Bongiornu mestu Furià, Bongiornu, Giru Linà,” Ciro Leonardo” cc’e tt’à purtatu la Befana? domandava mio nonno. Cc’e mmi putea purtà, Mestu Furià, capu ti menchie. Ahhh, allora nonc’è misu lu caziettu, tt’è pinnutu ti culu, rispondeva Nononno e scoppiavano a ridere tutti e due.

Ciro Leonardo lavorava a bottega in una delle decine di botteghe di ceramica, ed era affezionato a mio nonno, anzi gli piaceva farsi “canzonare”, era alto alto, magro, cu nn’à couppoula n’capu e faceva una camminata strana, camminava ciondolando le braccia, tanto che noi lo chiamavamo, Ciru Linardu li campane, quelle braccia muovendosi avanti e indietro, sembravano “lu pitingone tli campane”, era una bravissima persona, l’unico dei grandi ca “pirdea la capu cu nui piccinne” e parlava una lingua stana, non era dialetto , ma mancu Italiano un italiano strano . La Befana è anche stata la “scoprizione” come diceva Giru Linardu fu la prima volta che ebbi l’impressione che i grandi erano dei “busciarde” racconta frottole.

 La prima volta che ebbi l’impressione che i grandi erano dei “busciarde” racconta frottole, fu proprio una vigilia della Befana, purtroppo di tanti anni fa. Gli anni sessanta erano quasi alla fine, io ragazzino di cinque anni credevo, almeno così mi facevano credere, alla Befana. Si, mi raccontavano, questa notte arriva la Befana, con le scarpe tutte rotte, il vestito alla romana…quanto è bella la Befana. Ora, vero che avevo cinque anni e come tutti i miei coetanei, stavo in continuazione a chiedermi il perché delle cose in generale e vedevo nei grandi la fonte da cui apprendere e non potevo non riflettere: primo, perché la Befana viene di notte sulla scopa, perché ha le scarpe rotte, perché ha un vestito alla romana, e poi perché i grandi dicevano che la Befana era addirittura bella. Povera mia madre, lei poi era romana, chissà quante volte gli ho chiesto di vestirsi “alla romana”, quante volte a mia nonna Cira gli avrò scorticato lo scorticabile. Ero un bambino di un cacacazzo unico, questa cosa l’ho riscontrato nel tempo, cresciuto, nessun testimone della mia infanzia, abbia mai detto fossi un bambino sereno, la frase più ripetuta a chi chiedevo cosa ricordasse di me bambino era più o meno questa: Mariu mà, iere nnù scorcia patane. Per questo mio essere scourcia patane, dovunque andassi, e si, io mi presenteva a casa delkla gente, così senza motivo, bussavo aprivo e mi presenteva. La gente in illo tempore, era più disposta a non essere intransigente, il mio presentarmi a “casa tlì cristiani, era invece considerato un fatto positivo, anche perche Via Corrado mastropaolo ogni casa era un pà la casa nostra, così ci dicevamo tra gli amici. Il fatto che invece accadeva più spesso era che più volte, una volta entrato, dopo la caramella di rito, non andavo via, le mie visite erano finalizzate alla caramella, ma poi cominciavo a guardarmi attorno e lì iniziava la sfilza dei perche, motivo per cui mi si chiedeva andare altrove, ma con garbo, mai stato cacciato, ma diciamo invitato ad andare; ora da “Nunna Rosa”, o ddò mestu Ninu lu falegname, o ddò Donna Margherita, o mi sentivo cumannatu: va ddo Maria Rosa, oppure come capitava spesso quando stavo a casa di nonna Cira: Mariu mà, pi l’arma toa va basciu alla mescia, (sartoria) di zì Graziella, mia zia, e tille: a dittu nononna cc’e` tiene nu’ picca ti N’Tartienu? Ahi voglia ad aspettare stu menchia di ntartienu, tutti mi dicevano di aspettare. Aspettavo fin quando cominciavo a scorticare l’umanamente sopportabile, e venivo mandato alla ricerca, di altro N’Tartienu…Tornavo da nonna Cira tutto demoralizzato, e si, avevo avuto il compito da svolgere e non ci ero riuscito, così pensavo. Un giorno ero particolarmente arrabbiato, stù menchia di N’Tartienu, mi facevano aspettare, aspettare e mò rriva, e mmò mlù pourtounu, e spetta n’outru picca, mi ero scocciato e tornai da dove mi era stato dato il compito. Ue’ Noo so sciutu di Nunna Rosa e no non tinea, puru zí Graziella ha dittu Ca’ nonci nni tene….ma cc’ ete stu Cazzu ti Ntartienu? Fu quella la prima volta che dissi una parolaccia, mia nonna mi strinse a sé, la sentii ridere, la cosa mi fece riflettere, piccò ste riti nononna, pensai, poi mi guardò seriosa: ahè Mariu mà. non si dicunu quelle parole, ricordo mi diede due fichi “mmaritate” ma solo la parte che mi piaceva, quella con la “mennla”, pensai che stu cazz..anche il pensiero si fermò a non finire la parolaccia, ti Ntartienu doveva essere una cosa assai preziosa, visto che mia nonna addirittura ha spezzato in due i fichi mmaritate e mmà datu quire cu la menla. La seconda volta che ricordo perfettamente fu la notte della vifìgilia della Befana.

Quella notte, volli fortemente rimanere sveglio. Erano anni che mi raccontavano la storia: ahe piccí, vite Ca’ staunotte li parite diventunu ti ricotta. Io ci credevo, tanto che quella notte del 1968, mentre a Parigi si consolidava la contestazione del Maggio francese, io facevo la mia, e si, talmente mi avevan decantato le pareti di ricotta, che mi sforzai a rimanere sveglio. All’epoca la televisione era presente solo a casa di Nonna Cira, ed era obbligatorio andare a letto dopo Carosello. Casa mia da quella di nonna distava una cinquantina di metri, quella sera mi incaponii, cioè riscorticai lo scorticabile, vidi pure il telegiornale, la guerra in Vietnam, era la notizia principale, morti bombe, poi il Napalm…ai voglia a chiedere a Nonno Floriano, ué no, ccete Lu Napalm? Nna bomma, rispondeva secco. Insomma dopo tanti giri e rigiri, tornai a casa convinto di spettare mezzanotte come a Natale: a Natale era consentito perché della Befana no? Niente da fare, Mario a letto! Sentenziò mia madre. Io dormivo nel “lettone” con mamma e mi addormentai. Ora o sarà stata la tensione accumulata, o chissà cosa, fatto sta, che mi svegliai guardai la “risveglia” quella che faceva tic tac, pure che non avevo imparato ancora come si leggevano le lancette dell’orologio, forse era mezzanotte, almeno così mi è sembrato, era buio, Mamma dormiva, è certamente mezzanotte pensai, senza scendere dal letto, faceva freddo, mi spostai le coperte, la luce del lampione sulla strada entrava, sottile come una lama, dal buco della vecchia serratura, con la mano superai la spalliera del lettone, toccai il muro, era duro, niente, era Lu parete, mi sforzai, avvicinai la bocca e con la lingua cercai di assaporare la ricotta fresca, morbida come la pampanedda… era Lu sapore salatu tla’ coce. Come ci rimasi male, ma, male male, male. Ricordo pure che piansi. Anche mia madre ha sempre ricordato, mi raccontò che quella notte, della vigilia della Befana, scoppiai a piangere in piena notte e per rifarmi addormentare ci volle la solita santissima pazienza…”

Appunti di “Sinapsi ancora vive. Mario Petraroli. (continua)