CERAMICHE ECCELENZA D’ITALIA: PUGLIA. SI PROMUOVA GROTTAGLIE AL G7 CON GLI ULIVI DI GIOVANNI E DONATELLO SPAGNULO DELLA “LA TERRA INCANTATA”

di Vito Nicola Cavallo

 La Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni https://youtu.be/ceQq72qbasQ a novembre 2023 comunicava che in Puglia , a Borgo Egnazia( BR) ospiterà  il G7 del 2024 per la  metà di giugno, “ una sede dal  significato simbolico legato alla posizione geografica di ponte tra occidente e oriente” ha dichiarato il Presidente del Consiglio dei Ministri e proseguendo  sottolineava di essere “ molto soddisfatta del modo in cui l’Italia viene accolta e ascoltata con attenzione come si conviene per un grande attore internazionale che ha posizioni chiare su tutte le materie che ci si trova ad affrontare”.

In questi giorni è stato pubblicato il logo del G7 , che si svolgerà dal 15 al 16 giugno a Borgo Egnazia in provincia di Brindisi, a poche decine di chilometri dalla città delle ceramiche. Un logo in cui è rappresentato un albero d’ulivo secolare con le radici che si immergono nel mare nostrum e con in cima sette olive, che simboleggiano le sette nazioni.

L’occasione è da non perdere per promuovere la nostra pregiata arte della ceramica e la nostra città, suggerendo all’amministrazione di farsi carico di promuovere alla Regione Puglia e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di donare ai sette Capi di Stato il capolavoro in ceramica dei Fratelli Spagnulo che rappresenta proprio un secolare albero d’Ulivo. Ripropongo l’intervista del 2002 ai fratelli Giovanni e Donatello Spagnulo della “terra incantata”.La più nota famiglia di artigiani dell’arte figulina della Puglia è stata quella dei “puparieddu”, gli Spagnulo appunto, Giovanni Spagnulo, antesignano della famiglia, raccontava ai figli ed ai nipoti, nelle serate d’inverno, la sua meravigliosa dote di telepatia, in particolar modo, al rientro a casa dopo una faticosa giornata di lavoro, il momento in cui la lucidità della mente si abbandonava al misticismo. Giovanni raccontava che mentre si apprestava al portone di casa, pensava e declamava ad alta voce “ apriti portone…non conosci il tuo padrone…giuanni di puparieddu!?”, invito lanciato nel vuoto serale del quartiere delle ceramiche, infatti puntualmente il portone rimaneva inesorabilmente chiuso e sordo all’invito, e con peripezie inenarrabili conquistava in fondo alla tasca il chiavistello che più realisticamente le consentiva di entrare in casa.

Questa fantasia ed estro si è materializzato nel tempo nella produzione ceramica, che come abbiamo scritto, prende forza dalla “Manifattura Calò” ,dalla Regia Scuola di Ceramica di Grottaglie e dalla scuola pittorica di Grottaglie. In questo contesto si sviluppa la storia culturale e produttiva della famiglia Spagnulo ed in particolare oggi di Giovanni e Donatello Spagnulo, titolari dello studio d’arte ed azienda artigiana “La Terra Incantata”

I fratelli Spagnulo, apprendono dei I primi rudimenti dell’arte ceramica, che è fra le arti del fuoco, la più vaga ed attraente (cit. prof. Cosimo Calò), dal padre Mario, grande maestro nella realizzazione di “miniature” in ceramica ( che i due fratelli, hanno continuato in parte, a produrre)  per proseguire successivamente, all’istituto Statale  d’ Arte sezione Ceramica, che come si ricorderà venne istituita  con  Regio Decreto 27 settembre 1887.

Laboratorio di ceramiche artistiche ed artigianali, è collocato   nel suggestivo quartiere delle ceramiche di Grottaglie, dal gennaio del 2000,nel corso degli anni l’azienda è cresciuta sviluppando diverse linee produttive dal fischietto alla maiolica tradizionale, dalle riproduzioni d’arte al design.

Incontriamo i due fratelli nell’antica bottega del padre Mario, dove li ho visti crescere. Quindi Gianni e Donatello, presentiamo la vostra produzione e le relative esperienze tecnico- artistiche?

Nel corso degli anni la nostra ricerca creativa si è arricchita di numerose esperienze tecnico-  artistiche  e culturali che in un colorato viaggio virtuale ispirano la nostro laboratorio artistico  e studio d’Arte “ La Terra Incantata”, in cui abbiamo materializzato la realizzazione di nuove numerose collezioni. Un racconto della storia dei luoghi e dei paesaggi pugliesi racchiuso in piccoli e grandi “opere” di sapiente manifattura artigianale.

Nel dettaglio, quali sono le realizzazioni di particolare interesse e che meglio vi rappresentano?

Tra i primi esperimenti tecnico-artistici è stato il canto fiero del “gallo” che annuncia il sole e accompagna lo sguardo sulle mediterranee  “cupole maiolicate” e filtra nei “rosoni” delle nostre chiese fino ad illuminare gli altari e le colorate pavimentazioni piastrellate di lucide maioliche decorate dalle sapienti pennellate dei “faenzari”  grottagliesi.

i “PUMI  DE’ FIURI” colorano i balconi dei vicoli e dei borghi di Grottaglie  accompagnando il visitatore fino al quartiere delle ceramiche, trovando ristoro qua e la alle fresca acqua della “fontanella” il  simbolo dell’Acquedotto Pugliese, dove nasce la storia antica e affascinate della ceramica. “il Capasone” culla e cornice di pregiati vini, troneggia tra le piccole grandi forme “ Capasa , trimmone , minzana…che accompagnano la vita contadina.

“La puglia” terra di gravine oltre ad offrire paesaggi mozzafiato e piena di insediamenti e rifugi dei “Monaci Basiliani” i quali hanno portato a noi la storia e la cultura pittorica e religiosità delle icone ortodosse il vento caldo di scirocco che muove le fronde verde argentato degli austreri e monumentali “Ulivi secolari”. nelle assolate distese di terra cinte da “Muretti a Secco”. L’ ulivo nato dal tocco sulla terra della lancia di Atena come dono di pace e nutrimento al suo popolo arriva a noi e accompagnando la nostra  storia sotto lo sguardo vigile e sapiente della civetta (l’uccello che vede al buio diviene allegoria della ragione, i cui occhi penetrano anche il buio dell’incertezza).

Dunque da questa approfondita lettura delle contaminazioni culturali ed ambientali pugliese avete preso spunto per le vostre collezioni ?

Si ,“La Terra Incantata” con le sue  ultime collezioni intende reinterpretare la ceramica Grottagliese, arricchendola dei contenuti e delle tematiche della pittura sacra e profana,  esplorando linguaggi vicini e lontani dalla nostra cultura tradizionale, punti di partenza e stimolanti mondi visivi nei quali sviluppare percorsi creativi che si fondono nell’arte della terra e del fuoco. Vi presentiamo “IL Graffito”,  una tecnica dalle antiche radici le cui origini in Italia sono legate probabilmente alle crociate e quindi alla civiltà Araba Saracena. Tramandata nei secoli e dalle varie culture questa tecnica, si rinnova e diventa particolarmente attuale e largamente utilizzata nella produzione artistica odierna. Quindi i “pumi  de’ fiuri”, manufatti, che ricordano vagamente dei boccioli di fiori stilizzati e hanno forma tondeggiante di solito terminante a punta; la loro superficie può essere liscia oppure modellata plasticamente con foglie a rilievo. Sotto la base c’è un foro che consente di infilare i “pumi” in coppia negli appositi fermi metallici alle estremità delle ringhiere di finestre, terrazzini e balconi. Quest’oggetto particolarmente diffuso a Grottaglie ha una funzione apotropaica e simboleggia il buon auspicio e la difesa dal male.“ I Capasoni” il termine  deriva dall’aggettivo capase (capace) ed indica il più capace e il più ampio di tutti i recipienti in passato era usato soprattutto in Puglia per conservare il vino utilizzato al posto delle botti il termine capasone deriva dall’ aggettivo capase (capace) ed indica il più capace e il più ampio di tutti i recipienti. In passato era usato soprattutto in puglia per conservare il vino utilizzato al posto delle botti prima che entrassero in funzioni le cantine sociali. oggi da contenitore per il vino il capasone diventa la culla e cornice di pregiati vini, in una rielaborazione delle forme, gli oggetti della nostra ricca tradizione ceramica grottagliese rivivono e si ridisegnano in una elegante commistione tra passato e moderno.

IL GUFO e LA CIVETTAI Greci e i Romani lo ritenevano un uccello sacro, accompagnatore di Atena  dea della saggezza e di Minerva dea della guerra.
Anche nel Medioevo era considerato simbolo di saggezza e  di sapienza, gli studenti sostenevano gli esami portando addosso amuleti a forma di gufo.
Il gufo è un simbolo molto fortunato per le persone nate sotto uno dei tre segni di Terra (Toro, Vergine e Capricorno).Una piuma di civetta veniva cucito sul vestito delle spose come portafortuna.  Le civette, oltre a portare fortuna, possono anche essere sinonimo di protezione. Nei tempi antichi si credeva che queste tenessero lontano il male dalle case. ”Atena”. La parola glaucopide  viene interpretata secondo due possibili accezioni: dea “dagli occhi glauchi” (azzurri, lucenti) o dea “dagli occhi di civetta”. Le due accezioni in greco antico si sovrappongono. La civetta (e in generale gli strigiformi, cioè i rapaci notturni, fra cui la specie più caratteristica è appunto noctua Minervae), essendo un uccello sacro, un animale totem, veniva indicata con un appellativo indiretto, che significava la glauca, l’uccello dagli occhi lucenti, il cui connotato tipico era la sapienza (l’uccello che vede al buio diviene allegoria della ragione, i cui occhi penetrano anche il buio dell’incertezza).La civetta, e in genere i rapaci notturni, erano associati, sin dal tardo mesolitico, a una dea madre della morte e della rigenerazione. Tale divinità femminile preindoeuropea viene a vario titolo assimilata dai popoli semiti e indoeuropei venuti a contatto col mondo del Mediterraneo e dell’Europa del neolitico. In Grecia, le Arpie e le Chere (e in origine le stesse sirene, che nel mito più arcaico erano immaginate come metà uccello e metà donne), sono filiazioni, insieme ad Atena, dell’antica dea madre uccello, il cui culto sopravvive, fra recuperi e demonizzazioni, fino alla diffusione del cristianesimo. Ritornando agli “Ulivi secolari”, ed ai   “Muretti a Secco”, l’ulivo in Puglia ,una magia che dura da oltre 3.000 anni. E tuttora il grande testimone del popolo mediterraneo. ogni ulivo si porta dentro, sin dai tempi del mito di Atena , i profili dei suoi migliaia di custodi. Questi monumenti  di austera e rara bellezza di respiro messapico, sono una evidente dichiarazione d’amore per l’umanità oltre che una ricchezza culturale. infatti  il solenne ulivo plurisecolare è divenuto un bene d’interesse storico-artistico oltre che architettonico e archeologico. per esso si dice che  il passaggio attraverso le grandi cavità dei suoi tronchi sia di buon auspicio. per le genti questo rito sarebbe servito ad allontanare gli spiriti indesiderati  e chi avrebbe dimostrato ostilità nei confronti di tali  generose piante. dal sacro al profano :l ‘ulivo ha unito le genti e attraversato la storia dell’ umanità.L’ULIVOnon vuole per crescere, ch’aria, che soleChe tempo , l’ulivo!

Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d’argento.G. Pascoli”.Un’antichissima leggenda mediterranea narra che Atena e Poseidone un giorno si sfidarono per offrire il dono più bello al popolo, Zeus sarebbe stato il giudice della gara tra le due potenti divinità. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie. Atena invece colpì la roccia con la sua lancia e fece nascere dalla terra un albero bellissimo, il primo albero di ulivo. La splendida pianta illuminava la notte, medicava le ferite e curava le malattie e inoltre offriva prezioso nutrimento, donando benessere e quindi pace a tutte le genti che lo avrebbero coltivato. Zeus scelse questa, benedì le foglie argentee e disse: «Questa pianta proteggerà una nuova città che sarà chiamata Atene da te, figlia mia. Tu donasti agli uomini l’ulivo e con esso hai donato luce, alimento e un eterno simbolo di pace». Atena da quel giorno divenne la dea della città di Atene. Qualche tempo dopo uno dei figli di Poseidone cercò di sradicare l’albero di Atena, ma si ferì nel commettere l’atto sacrilego e morì. Gli ateniesi decisero così di far sorgere in quel punto l’Acropoli e far presidiare notte e giorno dai soldati la sacra pianta dell’ulivo.

LA VITE

Fin dalla comparsa delle prime civiltà, questa pianta, ha ricevuto dall’uomo la più grande venerazione, tanto che le fu dedicato uno specifico protettore: Dioniso per i Greci e Bacco per i Romani.

La Bibbia stessa testimonia che fu lo stesso Noè a salvare la vite e, ad importarla dopo diluvio universale.

La coltura giunse, nella Magna Grecia, per merito dei primi colonizzatori, poi diffusa in tutta Italia, probabilmente per azione del popolo etrusco.

Furono i Romani poi, a trasferire la coltura della vite a tutte le popolazioni conquistate. Considerata da quest’ultime, simbolo d’adattamento e trasformazione, rappresenta di seguito lo spirito del Cristianesimo. In una celebre parabola, Gesù stesso, si paragona ad una vite, i cui tralci rappresentano tutti i suoi discepoli (la Chiesa), i quali possono “vivere” soltanto ben radicati alla pianta. La vite: simbolo di benessere, fecondità e benedizione. La nostra collezione riproduce, con abile attenzione ai differenti e millimetrici particolari l’importanza di una tradizione millenaria. Meravigliosi “gingilli”, per battesimi, comunioni, cresime e matrimoni.

Il Gallo In passato la cultura europea ha considerato il gallo  un animale solare e gioioso, che con il suo potente canto annunciava l’alba e scacciava i

demoni notturni, i leoni, i basilischi e ogni altro animale che popolasse i sogni inquieti. Nel Medioevo si credeva che la somministrazione della cresta di gallo curasse chi soffriva d’incubi mentre l’ingestione dei testicoli avesse effetto afrodisiaco e favorisse la donna a partorire figli maschi. La sua aggressività nel combattere per il territorio e una permanente disponibilità all’accoppiamento ne hanno fatto l’animale simbolo di virilità. Nella simbologia cristiana, il gallo rappresentava il Cristo che portava l’alba del nuovo giorno della fede “La certezza della luce.”. Già presente nella ceramica Greca (il gallo è associato a Mercurio). A Grottaglie il “galletto” nel corso del ‘900 si afferma come elemento decorativo della ceramica dall’impronta popolare, espressione simbolica della fertilità, tanto diffuso da giungere ad identificarsi quasi con la stessa.

 “Cupole e rosoni”.Molti sono gli elementi che accomunano le culture mediterranee, tra questi vi è l’arte della ceramica. Non solo come vasellame o suppellettili, ma come elemento decorativo nelle opere architettoniche. L’impiego dei materiali ceramici nell’architettura italiana risale al secolo XI. L’uso della ceramica decorativa è già conosciuto presso molte popolazioni dell’antichità ma è in Iraq che è applicato a un monumento molto rappresentativo. Nello scenario della produzione della maiolica e del suo impiego è il mondo islamico che ne fa un elemento fondamentale per le decorazioni nelle sue costruzioni. L’impiego della ceramica segue  di pari passo le conquiste territoriali del popolo arabo sino a riuscire a penetrare in modo massiccio nella religiosissima Europa attraverso la conquista della Spagna, che diffonde la maiolica nell’architettura europea. Dal Cinquecento si diffonde l’uso delle maioliche policrome nei rivestimenti delle cupole delle chiese, grazie alle loro caratteristiche di brillantezza, capacità di durare nel tempo, e alto valore estetico. Le tegole maiolicate sono colorate con diverse pigmentazioni e la loro posa in opera ne prevede  una parziale sovrapposizione l’una sull’altra; tale accorgimento evita di creare “fughe” (cioè spazi non coperti tra una maiolica e l’altra) in modo da garantirne una buona tenuta agli agenti atmosferici. produzione e d’impiego, particolarmente interessanti sono le scandole adoperate per realizzare le cosiddette coperture “a squame”.

“Rosoni”Gli archetipi del rosone nell’architettura religiosa sono gli “occhi” delle basiliche romane. Il rosone simboleggiava la via di comunicazione tra il mondo del divino e il mondo dell’uomo (la luce divina che penetra nell’interiorità dell’uomo). Il rosone ebbe una prima diffusione nella seconda metà del XII secolo in tutta l’Italia Settentrionale. Parallelamente a questo sviluppo nell’Italia Settentrionale si assistette ad una fioritura di rosoni anche in Puglia. Il rosone è una ruota a raggi che simboleggia, secondo la tradizione cristiana, il dominio di Cristo sulla Terra. Il rosone indicava anche, nelle chiese di architettura romanica, la ruota della Fortuna, “esplicita chiaramente la ciclicità della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilità del tempo di Dio”. Il significato simbolico del rosone è pertanto in stretta relazione con il cerchio che, come “linea infinita”, senza inizio e senza fine, è simbolo di Dio, e con la ruota, simbolo di eternità.

 L’origine dei rosoni può essere rintracciata in quell’universo spirituale che non contrappone le religioni occidentali a quelle orientali, ci riconduce alla simbologia degli archetipi: al “cerchio”, simbolo di perfezione e al “labirinto”, simbolo di ricerca interiore e di viaggio iniziatico. Simile anche a  una “rosa”, fiore simbolicamente legato alla devozione alla Madonna. Nel mondo cristiano la rosa bianca simboleggia la purezza di Maria. È unità nella totalità. Il rosone è un mandala. Simboleggiava la via di comunicazione tra il mondo del divino e il mondo dell’uomo (la luce divina che penetra nell’interiorità dell’uomo).
”Icone”. La collezione delle “Icone” è una rilettura unica e originale della cultura iconografica russo-bizantina. Le opere riproducono in ceramica, le intense atmosfere delle originali non imitandone l’effetto pittorico ma conservandone il linguaggio tradizionale. Partendo dalle radici dell’icona sacra che nasce e si sviluppa nell’oriente ortodosso, la nostra ricerca ci conduce attraverso le testimonianze di una vastissima produzione di affreschi rupestri, nel cuore della storia religiosa dei territori Pugliesi.

“Dalla tela all’argilla”

Trasposizione su ceramica di alcune opere figurative dei maggiori artisti che hanno caratterizzato la pittura europea fine 800 inizi 900.
Una collezione di oggetti unici, pannelli, lampade e oggettistica realizzate interamente a mano. 1903 Klimt effettua un viaggio in Italia. Fa tappa a Venezia, Ravenna e Firenze. Rimane molto impressionato dai mosaici bizantini.

Ad affascinarlo è il loro splendore, la preziosità, ma soprattutto la straordinaria luminosità. Sono qualità che Klimt va ricercando, nell’intento di depurare la composizione da spunti espressivi.
Negli anni successivi Klimt si dedica a impegnativi progetti, come la decorazione di palazzo Stoclet a Bruxelles. Esegue alcuni grandi ritratti: Ritratto di Fritza Riedler (1906), Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907). Dipinge anche composizioni complesse a carattere allegorico: Le tre età della donna (1905), Il bacio (1907-08).In alcune opere precedenti Klimt aveva già usato l’oro. Era però in funzione essenzialmente decorativa. Serviva, ad esempio, per le cornici, per dare risalto ai gioielli e agli ornamenti: Pallade Atena, Giuditta .

”LE FONTANELLE

Nata nel  1914 la “romantica fontana in ghisa” rappresenta il  simbolo dell’Acquedotto Pugliese .La “fontanina” ha portato la prima acqua salubre pubblica in Puglia ed ancora oggi è l’icona indiscussa di questa epocale conquista sociale. Presente in numerosi luoghi affascinanti del Meridione ed in particolare in tante piazze della Puglia, con la sua semplicità estetica e formale è considerata monumento e strumento del primordiale diritto dell’ uomo.“ Acqua bene comune” La disponibilità d’acqua potabile nelle nostre case è qualcosa di recente, avvenuta il 27 luglio del 1916 con l’inaugurazione del primo tronco dell’acquedotto del Sele che alimentò la prima fontana pubblica sull’attuale piazza Regina Elena nei pressi della Chiesa della Madonna del Carmine. Da quella data ad oggi il progresso ha portato l’acqua in tutti gli edifici e in tutte le case grottagliesi. Prima di allora c’erano pozzi d’acqua piovana nelle case e vari pozzi d’acqua liberi nel circondario del paese. La maggior parte della gente andava personalmente a riempirla, mentre le famiglie benestanti pagavano gli “acqualúri” (i portatori d’acqua) per farla trasportare a casa. Questo non era un mestiere, ma un lavoro di fatica, come quello “tli vastási” (i facchini), che molte persone svolgevano per un magro compenso. Da mattina a sera, con una “minzána” (brocca di creta con due manici) sulle spalle e una più piccola nella mano destra, gli acquaioli percorrevano a piedi tanta strada per attingere l’acqua.(cit. Cosmo Luccarelli, in Ardóri ti nna vóta .

 “LE TROMBE DI SAN PIETRO E PAOLO”- Santi Pietro e Paolo:la festa della “pernacchia” Nel sud Salento il giorno della festività dei Santi Pietro E Paolo si celebra dal 1577 la “Festa delle trombe” o della “pernacchia” in onore di San Pietro presso la cappella dedicata al Santo. Con un strumento in terracotta la “Tromba di San Pietro”, oggetto unico della tradizione della ceramica grottagliese, si regalava a persone degne di considerazione, ad amici o si scambiava con qualche paniere di fioroni e altri prodotti della terra.La ricorrenza religiosa, probabilmente d’influenza pagana,fatta propria dalla  tradizione ebraico e cristiana dopo, ispirata allo  “shofar“( corno di montone utilizzato durate il Capodanno ebraico il cui suono richiama l’eco del Sinai),veniva allietata col suono (suoni stonati, pernacchie e striduli) delle trombe di terracotta, dai primi vespri al calar del dì. Al termine della festa, le trombe venivano rotte dai presenti e ridotte in frantumi per allontanare

malattie e debiti. Rottura delle trombe in terracotta. Da qualche anno la festa è  organizzata dalla Fondazione partecipata ‘Festa delle Trombe’ Festa SS Pietro e Paolo, con la regia dell’attore e regista Alfredo Traversa. IL “pernacchiare” si svolge lungo “Lu Pennino” (salita Forleo) e vede la partecipazione di tutti nel suonare le trombe durante la processione.(cit. Cosimo Luccarelli)”la “Festa delle Trombe nella ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo Apostoli” è un’antica tradizione unica in Puglia e in Italia capace di coniugare sacro e profano attraverso un manufatto dell’antica tradizione grottagliese! Trombe di creta, dalle visite pastorali degli Arcivescovi di Taranto Mons. Lelio Brancaccio (1584) e Mons. Tommaso Sarria (1677) apprendiamo che molti fedeli grottagliesi, credendo di onorare Dio, solevano entrare in Chiesa cantando e saltando al suono di diversi strumenti musicali, così come facevano gli ebrei ricordando Davide davanti all’arca santa. Questa usanza non piacque ai vari arcivescovi perché la ritenevano irriverente e quindi non tardarono a minacciare la scomunica per tutti coloro che osavano entrare in chiesa con tali suoni. Ma i giovani, sempre ribelli nei secoli, nonostante le minacce di scomunica continuarono imperterriti a celebrare la festa delle trombe in onore di S. Pietro dai primi vespri della vigilia fino alla notte del 29 giugno.

Le trombe, strumento musicale a fiato di creta, costruito in varie forme dai figuli grottagliesi , non si acquistavano ma si regalavano ad amici, a persone di riguardo, ai famigliari, oppure si barattavano con coloro che possedevano prodotti della terra: “nnu panariéddu ti culúmmi o ti péri” (un piccolo paniere di fioroni o di pere), “nna pignáta ti fái mmuzzicáti” (una pignatta di fave sbucciate) “nnu tiéstu ti cíciri o ti fasúli” (un coccio di ceci o di fagioli). Una volta avute le trombe, i ragazzi con gioia immensa, soffiavano a più non posso, specialmente la sera della festa nei pressi della chiesetta di S. Pietro e Paolo. La festa durava tutta la notte e perdeva di intensità man mano che si spegnevano le lampade ad olio. La cappella sacra è situata alla fine di Via Forleo “Lu pinnínu” nell’incrocio con Via SS. Pietro e Paolo fu costruita da Jacopo Cuceri nel 1450,come risulta dalla bolla di autorizzazione dell’Arcivescovo Marino II Orsini del 24 febbraio 1450 e dedicata ai Santi Pietro e Paolo per profonda devozione della moglie di questo nobile signore. Viene citata nella visita pastorale del 1577 come una cappella che aveva una volta lamiata coperta di tegole con campanile; all’interno sopra l’altare le immagini dipinte del Crocifisso, della B.V. Maria e di S. Giovanni Evangelista; inoltre tutta la cappella era dipinta con figure sacre e all’ingresso c’era una pila con l’acqua benedetta. Venne riordinata nel 1656 dall’abate priore Don Francesco Ciraci e nella visita pastorale del 1657 di Mons. Caracciolo risulta qualche variante rispetto a quella visita compiuta 200 anni prima; confermando la struttura esterna variano le figure dipinte all’interno: sull’altare l’immagine della B.V. Maria con le immagini dei Santi Pietro e Paolo, mentre sul lato destro S. Girolamo e in quello sinistro S. Gaetano.” .(cit. Cosmo Luccarelli)