SETTIMANA SANTA IN PUGLIA: AUGURI DI PASQUA DI S.E. REV. MONS. SALVATORE LIGORIO ARCIVESCOVO DI POTENZA.QUARTA PARTE/6

“PASQUA 2021 ANCORA SEGNATA DALLA SOFFERENZA DEL MONDO INTERO A CAUSA DELLA PANDEMIA CHE HA SCONVOLTO LE NOSTRE ABITUDINI”.  

 Vito Nicola Cavallo

Auguri di Pasqua

Auguri per la Santa Pasqua! Con questo saluto siamo soliti in questi giorni scambiarci gli auguri per la festa della Resurrezione di Gesù.

I primi cristiani nello scambiarsi il saluto dicevano “Cristo è Risorto” e si rispondeva “È veramente Risorto!”. Era lo scambio del sentimento più profondo che avevano nel cuore. Questo sentimento non era una semplice emozione umana ma la loro fede e la loro speranza in Cristo Risorto. Si sentivano veramente fratelli, congiunti, non solo con un semplice legame di amicizia ma della stessa fede e della stessa speranza in Gesù Cristo Risorto. In sintesi si riconoscevano appartenenti ad una stessa famiglia fondata da Gesù: questa famiglia è la Chiesa.

Quanto sarebbe bello che, nel professare la nostra fede in Gesù Cristo Risorto, riuscissimo a testimoniare una nuova fratellanza generatrice di pace, sapendo superare ogni forma di divisione e di odio. Come risplenderebbe la nostra città ed ogni nostra famiglia ricca di un’umanità piena di cultura e di grandi valori umani e spirituali che i nostri antenati ci hanno saputo trasmettere!

In questa Pasqua 2021 ancora segnata dalla sofferenza del mondo intero a causa della pandemia che ha sconvolto le nostre abitudini e i nostri stili di vita, porgere il saluto cristiano “Cristo è Risorto” e sentire da tutti voi, fratelli e sorelle la risposta “è veramente risorto”, sarebbe il segno che tante persone fragili e smarrite ritrovano nel cammino della loro vita la speranza.

Carissimi, auguro a tutti voi che questa Pasqua risvegli la speranza che nasce dall’incontro con il Risorto e genera in noi una forza invincibile anche difronte al male e alla minaccia della morte. Chi ha questa speranza nel cuore può vincere la paura e trovare in sé la forza di spendersi per amore, perché sa che orientare la propria esistenza all’amore significa incontrare Cristo, trovando in lui il senso e la pienezza della vita.

Tutti voi siete nei miei pensieri e nei miei affetti. Nuovamente vi rivolgo l’augurio: “Cristo è Risorto, è veramente Risorto”. Pace a tutti voi

Con gli “Auguri di Pasqua “ di Sua Eccellenza Reverendissima  Monsignore Salvatore Ligorio Arcivescovo Metropolita di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo, concludiamo, con l’ultima parte, il racconto della  “  Settimana Santa a Grottaglie Riti Religiosi  e Tradizione Popolare”, del prof. Rosario Quaranta.

Rimane ancora in vita l’antichissima tradizione del pellegrinaggio al santuario di Santa Maria della Mutata la domenica successiva alla Pasqua, e cioè nella domenica in albis che a Grottaglie è detta Pasca tli palòmme, in quanto per l’occasione le famiglie consumavano (e consumano ancora) le tradizionali paste salate, al pepe e  con uova incorporate a forma di colomba (arcaica prefigurazione dell’uovo di Pasqua). La Madonna della Mutata è il santuario mariano dei grottagliesi, ma non pochi sono i devoti che vi accorrono dai paesi vicini. È dedicato alla Vergine Assunta ed è sito in quella che una volta era denominata la “Foresta Tarantina”, ai piedi dei monti di Martina, per cui era anche detta S. Maria in Silvis. L’appellativo di Mutata è da riferirsi, secondo la tradizione, a un fatto prodigioso avvenuto nel 1359: “V’era un contrasto tra gli abitanti di Grottaglie e quelli di Martina per il possesso della detta chiesa; l’immagine della Madonna era dipinta sulla parete a Sud e guardava verso la Terra di Martina per cui i martinesi deduceva­no l’affermazione dei loro diritti; ma un giorno la stessa immagine venne ritrovata dipinta sulla parete a Nord guardando verso Grottaglie. Per tale repentino cambiamento è chiamata S. Maria di Mutata”.  Ma su tale titolo esistono altre opinioni.

È probabile che “Mutata” si riferisca ai vari punti di riposo, rifornimento e di cambio delle cavalcature anticamente dislocate lungo le strade e perciò di “mutazione” ossia di cambio. Nel 1634 l’antico tempio, risalente secondo alcuni storici al secolo X, risulta completo anche nella decorazione delle volte e delle pareti, come si rileva dalla data messa sotto lo stemma del Cardinal Albornoz (1630-1637) dipinto al centro della navata maggiore, sulla porta interna dell’arco che guarda l’altare.

“Nel grande armadio di legno sovrastante l’altare maggiore, realizzato con intagli dorati e colorati su fondo bianco, è collocato  un miraco­loso Crocifisso, ricordato nella visita di Mons. Brancaccio del 1577, circon­dato da molti angeli a tutto rilievo. Fra gli spazi dell’intercolumnio dell’ampia vetrata sono inquadrate due piccole tavole, rappresentanti due episodi della passione: Gesù legato alla colonna e Gesù con la canna tra le braccia. L’altare della Mutata s’innalza sotto l’arco estremo del braccio destro.

 E’ sormontata da una trabeazione che poggia su quattro mezze colonne, due a destra e due a sinistra; al centro di queste, incassato nel muro si trova l’antico affresco, originariamente bizantino, della Madonna miracolosa. Accanto all’altare della Vergine, sulla destra, si conservava fino a qualche anno fa una  piccola statua romanica della Vergine in pietra bianca che, opportunamente restaurata, è stata posta per sicurezza nella chiesa madre. Sui quattro archi del vano dove sorge l’altare sorge l’edicola della Mutata sulla quale s’innalza la cupola tutta dipinta (sec. XVII). Nei ventagli sono raffigurati i quattro evangelisti; intorno  si aggira una lunga teoria di santi; nella calotta “la Vergine Assunta, tutta raccolta in sublime e umile preghiera, è dipinta presso il suo Figlio che le posa sul capo la corona reginale, presente lo Spirito Santo”. Tutto il sacro tempio risulta decorato con esuberante fantasia dovuta al pennello di un pittore del Seicento. Il pavimento,  produzione dell’industria figulina locale, è di una certa importanza, perché dimostra l’evoluzione e la continuità dell’arte ceramica grottagliese. Si possono individuare, infatti, pezzi, forme e tipologie di epoca diversa (secc. XVII – XIX). Anche su questa interessante manifestazione popolare della Pasca tli palòmme alla Mutata, il ricordato Emanuele De Giorgio ha scritto, alcuni decenni or sono, il seguente bozzetto non privo di freschezza narrativa: Ma nei giorni successivi le brave massaie erano tutte affaccendate a preparare le «scarcedde» che nel gergo dialettale del mio paese si chiamano «palomme»  e i taralli impastati con olio e pepe «li puddichi».

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Era una gara di ingegnosità perché si trattava di modellare con la pasta le «palomme» che dovevano contenere le uova; prendevano cosl forme l’agnello, la colomba, il gallo e il cestino col manico a tortiglione, il tutto imbottito di uova secondo l’eta del destinatario o il numero dei componenti la famiglia; « palomme » di farina di grano impastata con olio e pepe con nel mezzo delle uova intere, cotte regolarmente nel forno a legna.a due, a quattro, e talvolta fino a venti. Naturalmente, la gioia dei bambini era commisurata al grado di munificenza della mamma. (…)La meta perfetta era il Santuario della « Madonna di Mutata » situato a pochi chilometri del paese. Si arrivava percorrendo una strada carrozzabile, piena di fango d’inverno e polverosa d’estate. Narra la leggenda che alcuni contadini, mentre eseguivano dei lavori di scasso del terreno in agro limitrofo tra due paesi, rinvennero una statua antichissima della Madonna. Tra i presenti nacque una contesa che andava per le lunghe quando, per porre termine alla lite, di comune accordo, decisero di affidarsi al « giudizio di Dio ». La statua sarebbe passata in proprietà al paese verso cui il simulacro della Vergine avrebbe rivolto lo sguardo. Destino volle che la Vergine si voltasse in direzione del mio paese e cosi sorse il santuario che porta appunto il nome di « Madonna di Mutata »  della Mutata.Dal giorno del miracolo verificatosi in epoca imprecisata, il culto per la Madonna di Mutata e radicato nella coscienza dei paesani, ma con tale slancio di fede per cui ogni occasione e buona per onorare degnamente la « Patrona ».

Per devozione o per sciogliere un voto, poveri e ricchi si incamminavano « alla scazata » — cioe a piedi scalzi — dal paese al santuario; e nei periodi di siccita intere processioni dl popolo in preghiera vi si recavano per implorare dalla Vergine Santa la pioggia per le campagne assetate. Non poche volte, stando a quanto si racconta, le processioni in cammino venivano colte di sorpresa da solenni acquazzoni (…).Un caseggiato rustico sorto di fianco in una depressione del terreno faceva contrasto con la facciata del santuario dal pretto sapore rurale come tutte le chiese di campagna della Puglia. Anche 1’interno era disadorno, reso austero dairunica fonte di luce dhe proveniva dalla fronte. In quel giorno l’affluenza dei fedeli movimentava l’unico ambiente del tempio, dove un grande pilastro posto al centro mostrava un’immagine bizantina della Madcmna, annerita dal tempo e dal fumo delle candele.

 Gli ex voto appesi intorno all’immagine rendevano piu irreale l’atmosfera del luogo sacro. Certo che l’arte primitiva, cosl lontana dalla nostra civilta e tutta raccolta spiritualmente, esercitava un fascino straordinario sulla sen-sibilita dei credenti. Ma all’ingresso la folla sciamava in un via vai continuo per farsi largo e rendere omaggio alla Ma-donna; poi si distribuiva per la campagna circostante per consumare le tradizionali palomme innaffiate con del buon vino. Ci si poteva rifornire anche sul posto perche le bancarelle improvvisate non mancavano mai, con ogni sorta di generi mangerecci e di bevande.In un recinto dal terreno battuto, con qualche rado ciuffo d’erba, i carrettieri sistemavano asini, muli e cavalli con il sacco di biada appeso dalla testa al muso e i carriaggi — sembrava di vedere un accampamento di soldati garibaldini —; e ovunque uomini, donne e bambini sdraiati per terra che mangiavano e bevevano senz’altra preoccupazione che quella di mettere a tacere le sollecitazioni dello stomaco in piena allegria. Ma in tutta questa pittoresca scena dalle tinte  paganeggianti, quasi come un baccanale, vi era come un qualcosa di naturale, il compimento di un rito con tutte le sfaccettature sacre e profane in onore della Patrona.II ritorno a casa era ancor piu movimentato e rumoroso perche la gran folla si muoveva in uno spazio di tempo più breve.

Non so se il rituale continua ancor oggi; ma certo che la viabilita ridimensionata dalle esigenze attuali e l’uso generalizzato dell’automobile hanno tolto gran parte dei motivi principali e dell’attenzione che spingevano i buoni paesani a portarsi in pellegrinaggio alla Madonna di Mutata, sia pure con un pizzico di svagata aria festaiola. La tradizione di recarsi al Santuario della Mutata nella Domenica in Albis ancora oggi perdura, ma con modalità alquanto diverse. Il pellegrinaggio così caratteristico non c’è più; ma la gente, numerosissima, non manca di recarsi in auto e di affollare il santuario e le contrade circostanti per trascorrere con la medesima festosa atmosfera familiare una giornata spensierata e serena sotto la protezione dell’antica Patrona di Grottaglie. Anche i dolci tipici e le caratteristiche palòmme, puddìchi  e taralli che, col buon vino, allietano l’allegra scampagnata, vengono ancora preparati nelle case oppure, comodità della vita moderna, sono già belli e pronti nei ben attrezzati forni e nelle pasticcerie della cittadina!  Qualche anno fa, a testimonianza della vitalità della tradizione, sopra una lunghissima tavolata sistemata sulla via davanti al santuario, ha fatto bello sfoggio di sé,  per ben 18 metri, la Palòmma più lunga del mondo!

(1) Rosario Quaranta in “  Settimana Santa a Grottaglie Riti Religiosi  e Tradizione Popolare”. Comune di Grottaglie-assessorato al turismo e marketing della ceramica artistica e tradizionale .

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